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Rogo nello showroom cinese di Milano: “Fiamme appiccate dall’alto, poi la fuga sul tetto”. La procura indaga per strage

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Le fiamme appiccate dall’alto, da un punto in cui il responsabile pensava di non essere visto. La fuga sul tetto, poi in strada e il fumo, che ha ucciso i tre giovani, due ragazzi e una ragazza. È questa l’ipotesi riguardante la dinamica dell’incendio che la sera del 12 settembre scorso ha distrutto lo showroom cinese ‘Li Junjun’ in via Cantoni, a Milano. Il rogo, che è quasi certo abbia origine dolose, è costato la vita a tre ragazzi, rispettivamente di 17, 18 e 24 anni.

Che non si trattasse di un incidente era stato subito chiaro agli investigatori. Venerdì, poi, i vigili del fuoco sono tornati all’emporio – nel quale erano esposti elementi di arredo – per effettuare nuovi rilievi. In aiuto nelle operazioni, il cane ‘Aika’, un pastore belga specializzato nella ricerca di eventuali acceleranti. L’animale, effettivamente, ha rilevato la presenza di sostanze che avrebbero alimentato le fiamme nella zona vicino alla porta. I risultati degli accertamenti tecnici hanno spinto la procura di Milano ad allargare le ipotesi di reato, comprendendo anche la strage.

Dalle indagini, intanto, emergono anche nuovi particolari sui giorni precedenti il rogo. Poche ore prima del dramma, il padre del titolare del magazzino – sul quale ancora appariva la scritta ‘Wang Sas’ – aveva sporto denuncia ai carabinieri della compagnia del Duomo per una tentata estorsione avvenuta il giorno precedente. Dalla testimonianza dell’uomo e della moglie risulta, infatti, che entrambi fossero stati minacciati da un uomo in due diverse occasioni. Le minacce, a detta della coppia, erano state perpetrate da un uomo nordafricano che, brandendo un coltello, aveva chiesto 20mila euro utilizzando Google translate per comunicare. Una testimonianza che aggiunge elementi all’ipotesi del rogo doloso.

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