Quasi quasi Viktor Orban è più ottimista di Carlo Calenda sul futuro dell’Unione Europea. Mentre il segretario di Azione ritiene che l’Europa stia finendo, mentre le “scenette” della politica vanno avanti da anni uguali a se stesse senza produrre risultati concreti e “la democrazia morirà non per colpa della Meloni”, il presidente ungherese vede ancora delle possibilità. Ma solo a patto di cambiare tutto o, più facilmente, se si fa la pace con la Russia. Per funzionari ed ex funzionari europei come il commissario uscente per gli affari economici Paolo Gentiloni (“dobbiamo avere presente un senso di urgenza”) e l’ex commissario per la fiscalità Pierre Moscovici, la questione è scivolosa, ma fuori discussione: non ci sono alternative all’Europa.
“L’Europa è esistita per lungo tempo e ha una lunga vita davanti. Confido nel fatto che saremo capaci di far fronte alla numerose sfide che abbiamo davanti: la crescita, l’allargamento di democrazia che creerà un’Europa più grande… – dice Moscovici a ilfattoquotidiano.it dal Forum di Cernobbio – Conosco le nostre divisioni ma non c’è alternativa all’Europa”. E gli elettori che tirano in senso opposto? “C’è una crescente influenza dei populismi, ma è ancora limitata e se guardiamo ai risultati delle ultime elezioni europee c’è ancora una forte maggioranza chiamiamola europea pura, naturalmente tutto questo va costruito, ma sono sicuro che nonostante le difficoltà troveremo il modo”.
Serenamente realista il sociologo francese della politica, Marc Lazar, intervenuto al Forum Ambrosetti che parla di situazione paradossale, quando i partiti che lui chiama nazionalpopulisti si sono affermati ma non sono stati capaci di muoversi insieme e hanno lasciato campo libero alle altre forze. “Il problema mi sembra doppio: il primo è classico e lo abbiamo sentito molto bene oggi: da una parte Orban che dice no all’integrazione politica, dall’altra Tajani che ha detto esattamente l’opposto. Bisognerà un giorno chiarire queste cose, non si può continuare con questa ambiguità e questa è la prima cosa. Poi il secondo elemento del paradosso attuale è la debolezza politica di due Paesi, la Francia e la Germania. Non sono un esperto di economia, ma ovviamente la debolezza politica avrà delle conseguenze economiche, dobbiamo aspettare il rapporto Draghi e la composizione della commissione e il suo programma, per vedere come Von der Leyen avrà la capacità di costituire una Commissione con le diverse sensibilità che esistono e indicare i vari elementi chiave”.
I più europeisti, manco a dirlo, sono gli imprenditori. Emma Marcegaglia, per esempio, non si figura neanche un’Italia senza Ue. “I problemi sono molti, calo di competitività, difficoltà a mettersi d’accordo sui grandi temi… però senza Ue penso che non ci sia futuro – è la risposta dell’ex presidente di Confindustria alla domanda de ilfattoquotidiano.it sulle possibilità di sopravvivenza dell’Unione – . Lo sforzo di tutti dev’essere quello di andare verso una maggiore integrazione, di spingere questa nuova Commissione europea a fare le scelte giuste, penso per esempio debito comune per finanziare la decarbonizzazione, il digitale, un’ulteriore integrazione sul mercato unico. Insomma ci sono tante cose che si dovrebbero fare, noi dobbiamo continuare a parlare di Unione europea, è la nostra casa“. Analogamente il ceo di Cherry Bank, Giovanni Bossi, ritiene che sia “assolutamente opportuno e necessario che l’Ue esista, senza non contiamo nulla, siamo microbi, inesistenti. Però ha bisogno di tanti passi in avanti che non sono stati fatti, devono essere fatti, politicamente è difficile farli a conferma della frammentazione che credo sarà molto molto visibile nei due report di Letta e Draghi”. E centra il punto: “C’è tutta una serie di argomenti che vanno messi a posto, ma si può politicamente? È questo il grande dilemma: oggi chi propone una maggiore integrazione europea rischia di perdere le elezioni“.
Dal canto suo Riccardo Illy sogna “gli Stati Uniti d’Europa come forma di confederazione di Stati. Il che non significa che dobbiamo solo conferire ulteriori poteri a livello europeo, magari qualche potere l’Unione Europea lo può anche retrocedere ai singoli Stati, perché in effetti ci sono delle cose oggi in mano all’Ue che forse i singoli Stati gestirebbero meglio – sostiene l’imprenditore triestino -. Però ci sono alcune cose fondamentali che solo a livello europeo potremmo definire in maniera adeguata e mi riferisco alla moneta che ha su un lato la politica estera e sull’altra difesa“.
Poi ci sono imprese che non possono prescindere dal mercato unico. Come Siemens Italia, il cui numero uno, Floriano Masoero, fa notare come “non possiamo prescindere dall’Europa anche a livello di business e di opportunità future” o il numero uno di Microsoft Italia, Vincenzo Esposito, che ricorda una delle ragioni per cui Usa e Cina riescono a fare Intelligenza Artificiale: “Ragionano come un’unica entità, un unico linguaggio, un unico mercato di capitali che riesce a creare questo tipo di innovazione. Io penso per come è fatta l’economia oggi sia inevitabile dover trovare un modo per lavorare insieme in maniera più sinergica”.
A loro pensa Enrico Letta quando nel suo rapporto sul Futuro del Mercato Unico Europeo invita ad essere “un po’ sovranisti europei” e cioè di essere più integrati soprattutto sulle cose che costituiscono un ostacolo come i nostri 27 diritti commerciali e 27 sistemi fiscali sono oggettivamente un ostacolo. E così teorizza il 28esimo Stato dell’Unione, uno Stato virtuale con uno statuto commerciale uguale per tutti a disposizione delle imprese che vogliano parlare la stessa lingua. E spiega: “Non reggiamo più la concorrenza di americani, cinesi, indiani. Più alziamo la bandiera nazionale sovranista, più facciamo godere Wall Street, i cinesi, gli indiani”.
Tocca invece all’ex ministro Enrico Giovannini, oggi direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile, occuparsi di chi resta ai margini: “Delle disuguaglianze drammatiche e persistenti fanno sì che pezzi importanti dell’elettorato e dei cittadini siano fortemente disillusi dalla politica nazionale ed europea e lo scontento mette a rischio la stabilità istituzionale”, ci dice. “Sappiamo già un secolo fa dove questo ci ha portato”.