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Il mare come pattumiera: la classifica delle spiagge più sporche e le leggi che mancano

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Tutti al mare, certo, ma dove? Il problema non riguarda solo l’inquinamento delle acque ma anche i rifiuti che troppo spesso invadono spiagge e coste che nessuno ripulisce a meno che non siano date in gestione a qualche privato. Secondo Legambiente, sulle spiagge italiane ci sono, in media, 705 rifiuti ogni 100 metri di costa mentre, a livello europeo il valore massimo dovrebbe essere meno di 20. E, proprio per questo, le Agenzie regionali per l’ambiente (ARPA) effettuano due volte l’anno, secondo le modalità stabilite a livello europeo, il campionamento dei rifiuti visibili sulla superficie della spiaggia di dimensioni superiori a 2.5 cm, compresi i mozziconi di sigaretta in una settantina di “stazioni di monitoraggio”, ciascuna della estensione di un centinaio di metri.

Gli ultimi dati ufficiali disponibili (2022) ci dicono che ai primi posti di questa poco invidiabile classifica ci sono, nell’ordine, Calabria, Marche, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Abruzzo e Lazio, con una quantità di rifiuti campionati compresa tra 7000 e 10000. E tra questi rifiuti primeggiano (88%) le plastiche, specie monouso, i mozziconi di sigarette e i cotton fioc nonché, nelle spiagge più lontane dai centri urbani, cassette ed attrezzi da pesca abbandonati.

Dati confermati sostanzialmente dai rilievi delle associazioni ambientaliste: ad esempio, nelle 18 spiagge del Lazio prese quest’anno in esame dai volontari di Ambiente Mare Italia si è verificato come le tipologie di rifiuti e agenti inquinanti riscontrati siano per lo più provenienti da prodotti in plastica dispersi in ambiente, con una significativa presenza di inquinanti in alluminio e vetro; dove i rifiuti in plastica rinvenuti e rimossi dall’ambiente – il 58% di quelli riscontrati nel corso delle attività – risultano costituiti per il 14,8% da bottiglie di plastica PET; per il 10,0% da buste di plastica e brandelli di buste; per il 9,5% da materiali per la pesca: cassette in polistirene e reti; per il 6,0% da materiali sanitari, con un incremento di mascherine; per il 5,2% da materiale monouso: bicchieri, forchette e stoviglie; per il 4,0% da mozziconi e cotton fioc; per il 2,5% altro (giochi per bambini e vari prodotti). Con una preoccupante presenza, soprattutto, di microplastiche, costituite da tutto il materiale solido di dimensione inferiore ai 5 millimetri che restano sulle spiagge e sui fondali marini, trasformando la sabbia, nei tratti più inquinati, in una multicolore nuova materia (la sabbia plasticata).

Per fortuna, negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di pulizia ad opera di volontari di associazioni ambientaliste e di semplici cittadini, che molto spesso rimediano all’inerzia degli enti pubblici preposti al settore. Ma questo è solo l’ultimo gradino. Perché, a monte di tutto, esiste una carenza di leggi, ad esempio proprio per le plastiche monouso, dove il nostro paese ha ritenuto di ammettere deroghe e proroghe rispetto alla normativa comunitaria; ma, soprattutto, vi è una gravissima carenza di cultura di tanti, troppi cittadini che usano il mare e le spiagge come pattumiera, aiutati dalla assenza di adeguati controlli, danneggiando, così, un patrimonio che appartiene a tutti anche, come oggi insegna la Costituzione, nell’interesse delle future generazioni.

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