Restringere eccessivamente o abolire il reato di abuso d’ufficio rischia di creare “impunità” e un “liberi tutti” che alteri l’equilibrio tra “certezza dell’attività amministrativa e pienezza ed effettività del controllo giudiziale”. A dirlo non sono magistrati come Giuseppe Santalucia (Associazione Nazionale Magistrati) o Giovanni Melillo (Procuratore Nazionale Antimafia) che in questi giorni hanno lanciato l’allarme sulla proposta della destra di modificare o abolire l’abuso d’ufficio. Stavolta la critica viene da un protagonista inaspettato: Roberto Garofoli, ex potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Draghi e oggi tornato al suo vecchio lavoro come presidente di sezione al Consiglio di Stato.

Martedì Garofoli è stato ascoltato dalla commissione Giustizia della Camera che, parallelamente al pacchetto di riforma del ministro Carlo Nordio, sta discutendo quattro proposte di legge di Forza Italia e Azione che chiedono di abolire, depenalizzare o restringere il perimetro del reato di abuso d’ufficio. E Garofoli si è mostrato molto critico con questa posizione, che è condivisa anche dal governo Meloni. Il giurista ha espresso la sua contrarietà nei suoi quindici minuti di audizione in cui ha presentato sinteticamente un articolo scritto per la rivista Sistema Penale consegnata ai deputati della Commissione Giustizia.

Le critiche di Garofoli si articolano su tre punti. Il primo riguarda le statistiche sui processi e le sentenze sull’abuso d’ufficio che vengono forniti dagli “abolizionisti” come prova per cancellare il reato. Dopo aver ricordato la modifica già restrittiva dell’abuso d’ufficio del governo Conte nel luglio 2020, Garofoli ha fornito una sua lettura dei numeri. In primo luogo, ha ricordato come i processi per abuso d’ufficio siano sempre meno (-40% dal 2016 al 2021) e che nel 2021 l’85% dei procedimenti (4.613 su 5.418) sia stato archiviato. Una quota superiore al dato medio delle archiviazioni per gli altri reati che oggi è del 62%. “Si dovrebbe concludere per ciò solo per l’abolizione di centinaia di altri reati o sono altri i rimedi da attivare?”, chiede provocatoriamente Garofoli.

L’ex sottosegretario ha ricordato anche che dopo la riforma del 2020, le condanne definitive sono in forte diminuzione: da 82 del 2016, 66 nel 2017 e 54 nel 2018 e 2019 a 18 nel 2021. Questo, conclude Garofoli, attesta “una capacità della giurisprudenza di selezionare gli abusi penalmente rilevanti” e “una capacità di filtro della magistratura inquirente”.

Infine, il consigliere di Stato si concentra sulla cosiddetta “paura della firma” che paralizzerebbe l’operato dei sindaci. Garofoli fa capire subito che la modifica in senso restrittivo dell’abuso d’ufficio del 2020 (restava punito solo il comportamento doloso) mostrava delle criticità perché “di frequente gli abusi – anche i più odiosi – si annidano proprio nell’esercizio della discrezionalità”. A suo modo di vedere, comunque, la decisione del governo Meloni di restringere ancora il perimetro del reato non sarebbe positivo per gli amministratori locali.

Perché? Garofoli lo spiega nella sua relazione consegnata al Parlamento. Nel documento scrive che l’abolizione “va valutata con cautela, non foss’altro per il concreto rischio di riespansione applicativa di altri reati”. E poi conclude sottolineando il rischio che si creino sacche di impunità diffusa: “Se è vero, del resto, che anche il regime delle responsabilità può incidere su ritmi e fluidità produttiva dell’apparato ammnistrativo, l’innalzamento del relativo livello di efficienza non deve necessariamente passare per un ‘liberi tutti’ che alteri il necessario equilibrio tra certezza dell’attività (e nell’attività amministrativa) e pienezza ed effettività del controllo giudiziale”. La soluzione, conclude Garofoli, semmai è agire sull’efficienza della Pubblica Amministrazione cercando di ridurre l’eccesso di burocrazia.

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