Luana è una di quelle lavoratrici che applaudivamo dai nostri balconi durante il picco pandemico. “Eroina” la definivano media e politici. Luana, anche nelle giornate della paura e dell’angoscia non si è mai fermata. Non poteva. Lei, infatti, era una lavoratrice “essenziale”: addetta alle pulizie di un’azienda che aveva vinto l’appalto presso un ospedale pubblico del Sud Italia.

Ma la classe dirigente del nostro Paese ha la memoria corta e l’ipocrisia come marchio di fabbrica. A poco più di 3 anni da quel tragico marzo 2020, dagli applausi, dai balconi, dal profluvio di parole epiche, Luana è tornata nello stanzino della Storia nel quale era stata invisibile finché un virus l’aveva resa visibile.

Luana oggi guadagna 7,12 € l’ora, che al netto fanno grosso modo 6 €. Una miseria. E l’azienda rispetta più o meno pedissequamente il contratto nazionale di riferimento: CCNL Multiservizi. Non c’è quindi una situazione di irregolarità formale, né si tratta di un “contratto pirata”.

La vicenda di Luana evidenzia come il problema dei bassi salari in Italia non abbia a che fare solo con imprenditori “furbetti”, ma sia più strutturale. E non potrebbe essere altrimenti se pensiamo che l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui il salario medio negli ultimi 30 anni non è aumentato, ma addirittura crollato: -2,9%.

Il CCNL Multiservizi, come quello Vigilanza e Servizi Fiduciari, quello del Turismo, quello del Commercio e tanti altri mostrano palesemente che la contrattazione da sola non riesce a tenere testa all’aggressività di un capitale che l’unico elemento su cui sa fare competizione è la busta paga dei e delle dipendenti. Debolissimo nella competizione tecnologica, di prodotto e di processo, sempre più i capitali vanno a riversarsi nel terziario arretrato, contraddistinto da alti tassi di sfruttamento e bassi salari (e, va sottolineato, alto tasso di irregolarità).

Luana è la dimostrazione vivente della necessità di un salario minimo. Di salario minimo finalmente da qualche anno si è cominciato a parlarne, ma a volte la sensazione è che le forze politiche lo agitino più come bandierina che come misura che potrebbe fungere da leva per cambiamenti più complessivi nel mondo del lavoro e nella politica industriale (oggi desaparecida).

Per questo il deposito in Cassazione di una Legge di Iniziativa Popolare (LIP) che mira a costringere il Parlamento a discutere seriamente l’introduzione di un salario minimo di 10 € lordi l’ora. A lanciare questa campagna sono Unione Popolare, esponenti di organizzazioni sindacali, associative, partitiche.

A giugno partiranno i banchetti per raggiungere l’obiettivo delle 50mila firme. Ma è proprio nel processo, prima ancora che nel merito della proposta di legge, che vanno ravvisati elementi di novità.

Se infatti il dettato della norma parla di un salario minimo di 10 €, cifra più alta e maggiormente rispondente di quelle presenti nelle proposte depositate nei cassetti di Camera o Senato anche alla necessità di recuperare l’inflazione da profitti che sta colpendo lavoratori e lavoratrici; se è prevista la rivalutazione della cifra nel caso di aumento del costo della vita; se è preso a riferimento il “contratto di miglior favore” e non quello comparativamente più rappresentativo; se tutto questo è vero, bisognerebbe però chiedersi che speranza ci sia che un salario minimo possa trovare finalmente la luce di fronte a un governo Meloni che oppone un muro che sembra granitico.

E, in effetti, i numeri in Parlamento sembrano lasciare poco spazio alla speranza. Per questo è importante il “processo”: moduli, banchetti, raccolta firme e iniziative in tutta Italia dovranno essere lo strumento attraverso cui permettere l’ingresso in scena e l’organizzazione dell’unico attore che può mettere in discussione i rapporti di forza esistenti. In fondo la Francia dimostra che addirittura una legge già approvata può essere insidiata non tanto dai numeri delle opposizioni parlamentari, ma dalla mobilitazione popolare nelle strade e nei posti di lavoro del Paese.

Non sarà un processo breve e la LIP è solo un tassello. Ricostruire nella società – prima che in Parlamento – rapporti di forza favorevoli alla maggioranza e che possano mettere alle corde la minoranza dei privilegiati e i loro scendiletto non si fa in sei mesi (a tanto ammonta il tempo a disposizione per raccogliere le 50mila firme della LIP) né tantomeno con una tornata elettorale.

Serve vincere nella società prima ancora che nelle istituzioni. È questa la ricchezza di questa Legge di Iniziativa Popolare sul salario minimo. È per questo che l’elemento chiave, tanto per il salario minimo quanto per trasformazioni più profonde, è la partecipazione popolare.
L’attore che manca. L’attore che serve. Almeno quanto un salario minimo di 10 € l’ora.

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