Per la prima volta dall’inizio del processo davanti alla Corte di assise di Reggio Emilia per l’uccisione di Saman Abbas si è video-collegato anche il padre Shabbar dal Pakistan. Dopo mesi di rinvii (anche per motivazioni controverse), si è presentato virtualmente al procedimento per il quale è imputato assieme ad altri quattro familiari (la madre della ragazza Nazia Shaheen – unica ancora latitante dei cinque alla sbarra – lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq).

Come ricostruito dall’agenzia Ansa, Abbas si è presentato con capelli corti, una mascherina anti-Covid di tipo Ffp3 e una camicia bianca. Al suo fianco, nel tribunale a Islamabad, c’erano un poliziotto seduto dietro di lui, inizialmente un funzionario del ministero italiano che ha curato il collegamento e un interprete urdu-italiano richiesto dalle autorità pachistane. “È stata dura, ma finalmente ce l’abbiamo fatta”, ha esordito la giudice Cristina Beretti che presiede la Corte (a latere Michela Caputo e la giuria popolare). Shabbar aveva avallato infatti la sua partecipazione a distanza lo scorso 4 aprile dopo un lungo ‘tira e molla’. Poi la giudice ha chiesto: “Lei parla italiano?”. Abbas ha risposto: “Poco”.

Dopo il rito di riconoscimento della sua identità, confermata grazie all’interprete, i legali italiani di Shabbar, gli avvocati Enrico Della Capanna e Simone Servillo, hanno avuto un colloquio privato con lui. Successivamente la Corte ha sancito la “riunificazione della posizione di Shabbar” che era stata stralciata temporaneamente in attesa del videocollegamento. Per poi riprendere l’udienza di venerdì scorso con la testimonianza di un investigatore che ha ricostruito, attraverso i tabulati telefonici e l’analisi dei cellulari, telefonate tra gli imputati, ma anche conversazioni e i messaggi di Saman scambiati con Saqib prima di morire. Shabbar ha assistito a tutta l’udienza, con l’interprete che ha tradotto tutto nella sua lingua madre. Un procedimento che comporta un notevole rallentamento. “Sarà complicato, ma portiamo pazienza”, ha detto il giudice Cristina Beretti.

Dopo l’interruzione per la pausa, il processo è ripreso sempre con la testimonianza del maresciallo del nucleo investigativo Cristian Gandolfi. Agli atti anche la telefonata di fine maggio – ascoltata in aula – del caposervizio del Resto del Carlino di Reggio Emilia, Saverio Migliari a Shabbar Abbas dove quest’ultimo sosteneva che “Saman fosse viva, in Belgio” e che sarebbe “tornato il 10 giugno in Italia per spiegare tutto”. Shabbar non ha reso dichiarazioni, ma non si esclude che possa farlo nelle prossime udienze. “Staremo a vedere”, il commento lapidario dei suoi legali italiani Della Capanna e Servillo.

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