A poco meno di un mese dal deposito delle motivazioni della sentenza di assoluzione, la Procura generale di Perugia ha impugnato in Cassazione la sentenza della Corte d’appello che il 9 giugno scorso ha assolto, perché il fatto non sussiste, tutti gli imputati accusati di sequestro di persona in relazione all’espulsione di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, insieme alla figlia minorenne. Tra loro Renato Cortese e Maurizio Improta. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che pensare che la polizia italiana abbia concorso alla “deportazione” di Alma Shalabayeva e della figlia Alua è “radicalmente insostenibile”.

La Procura generale “contesta la decisione assolutoria in quanto la sentenza appare viziata” per avere dichiarato innocenti gli imputati, “senza procedere al riascolto di testimoni di accusa, ritenuti tutti inattendibili“. La decisione di impugnare la sentenza alla Suprema corte è stata annunciata dalla stessa Procura generale di Perugia, guidata da Sergio Sottani, attraverso un comunicato ufficiale. Il verdetto di appello aveva riformato la precedente decisione di condannare gli imputati adottata dal tribunale di Perugia il 14 ottobre 2020 che aveva inflitto pene fino a 5 anni. La decisione della Corte d’appello, “presa in difformità delle richieste formulate dall’accusa in udienza – sottolinea la Procura generale -, ha escluso che nella vicenda siano stati commessi reati da parte dei dirigenti e funzionari della Questura di Roma”.

Nelle 44 pagine dell’atto di impugnazione, l’Ufficio spiega che non avendo riascoltato i testimoni di accusa, “ritenuti tutti inattendibili” la Corte d’appello perugina “è venuta meno all’obbligo di fornire una motivazione rafforzata, a sostegno della sua decisione assolutoria”. “Obbligo che non può certo ritenersi soddisfatto – sottolinea ancora la Procura generale – con il ricorso reiterato, così come fatto nella sentenza della Corte d’appello, a domande retoriche, non sorrette dal rigoroso riscontro con le risultanze processuali”. Secondo la Procura generale, inoltre, il giudice di secondo grado “con la sua lunga ed articolata motivazione demolisce la sentenza di primo grado, con l’uso, a volte, di espressioni che vorrebbero forse essere ironiche ma che rischiano di apparire inutilmente sarcastiche ed in alcuni casi possono essere percepite come manifestazioni di dileggio nei confronti dell’accusa e del giudizio di primo grado, ma non fornisce plausibili letture alternative ai tanti, troppi abusi consumati ai danni Alma Shalabayeva e della figlia minorenne”. “Abusi reiterati – si sostiene ancora nella nota firmata da Sottani -, che nella sentenza di appello vengono qualificati al massimo come violazione di prassi, ma che sul piano oggettivo e soggettivo integrano, a parere di questa Procura generale, il delitto di sequestro di persona contestato ai cinque imputati, nei cui confronti è stato presentato ricorso per Cassazione”.

La vicenda risale al 2013, quando Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, fu espulsa dall’Italia insieme alla figlia per poi rientrare alla fine dello stesso anno dopo mesi di feroci polemiche. Alma e Aula Shalabayeva furono prelevate dalla polizia dopo un’irruzione nella loro abitazione di Casalpalocco il 29 maggio 2013. Le forze dell’ordine in realtà cercavano il marito, ma dopo un velocissimo iter giuridico-amministrativo la donna e la figlia furono caricate su un aereo privato messo a disposizione dalle stesse autorità di Astana con l’accusa di possesso di passaporto falso. A luglio 2013, in seguito alle polemiche per l’operazione, si dimise il capo di gabinetto del ministero dell’Interno Giuseppe Procaccini (“Per senso delle istituzioni”). Secondo le ricostruzioni, aveva infatti incontrato l’ambasciatore kazako Andrin Yelemessov per parlare dell’oppositore Ablyazov. L’allora capo del Viminale Angelino Alfano, invece, fu oggetto di una mozione di sfiducia, poi respinta dal Parlamento. Shalabayeva e la figlia lasciarono il Kazakistan il 24 dicembre dello stesso anno per fare ritorno in Italia. In primo grado gli imputati furono condannati, in secondo sono stati assolti. Ora il caso sarà al vaglio della Cassazione.

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