Mentre la delega fiscale approvata due settimane fa ancora attende di approdare alle Camere, il governo Meloni con un inatteso blitz – la norma non era nelle bozze circolate in mattinata – ha infilato nel dl Bollette la previsione di uno scudo penale per gli evasori che, scoperti, pagano il dovuto. È il “regalo” che la maggioranza voleva inserire in manovra, salvo fare marcia indietro dopo la levata di scudi delle opposizioni. E ora rispunta in un decreto legge, nonostante – al netto del merito – appaia evidentemente priva dei requisiti costituzionali della necessità e dell’urgenza.

La sorpresa, di cui nulla è stato anticipato in una conferenza stampa dedicata al divieto del cibo sintetico, è comparsa nel comunicato finale del consiglio dei ministri, in cui si legge: “Si prevedono cause speciali di non punibilità di alcuni reati tributari (omesso versamento di ritenute dovute o certificate per importo superiore a 150.000 euro per annualità, omesso versamento di IVA di importo superiore a 250.000 euro per annualità, indebita compensazione di crediti non spettanti superiore a 50.000 euro), in particolare quando le relative violazioni sono correttamente definite e le somme dovute sono versate integralmente dal contribuente secondo le modalità previste”. L’unica differenza rispetto alle ipotesi emerse a dicembre è che nella lista non sono entrate dichiarazione infedele e omessa dichiarazione.

Il colpo di mano arriva dopo che, nel ddl delega di riforma del fisco, il viceministro con delega al fisco Maurizio Leo ha inserito un altro grande cavallo di battaglia della destra: il concetto che vada salvato dal penale chi evade “per necessità“. Una norma che va ben oltre la mano tesa ai contribuenti in difficoltà – per i quali c’è già la possibilità di rateizzare il debito – e appare fatta apposta per veicolare il messaggio che non pagare conviene. Al comma successivo è previsto che nel valutare la rilevanza penale del reato fiscale venga attribuito rilievo alle “definizioni raggiunte in sede amministrativa o giudiziale”, cioè i casi in cui il contribuente aderisce all’accertamento e inizia a pagare magari a rate. Qualcosa di simile allo scudo inserito nel decreto aiuti, dunque.

Ma il veicolo scelto dal governo appare del tutto incongruo. E aver infilato in un decreto legge una norma che non ha certo i presupposti della “necessità ed urgenza” potrebbe esser letto come un grave sgarbo istituzionale al capo dello Stato Sergio Mattarella, che solo un mese fa ha promulgato con riserva il decreto Milleproroghe censurando (oltre alle proroghe per i balneari) la natura omnibus del provvedimento e l’assenza, per diverse misure, proprio del requisito della necessità.

In aggiunta, l’esecutivo nello stesso decreto ha anche allungato i termini dei condoni previsti dalla legge di Bilancio. Slitta quindi di sette mesi (dal 31 marzo al 31 ottobre 2023) la data per la prima rata per regolarizzare le irregolarità, le infrazioni e l’inosservanza di obblighi o adempimenti, di natura formale, commesse fino al 31 ottobre 2022. Per il ravvedimento speciale sulle dichiarazioni validamente presentate per il periodo d’imposta al 31 dicembre 2021 e precedenti, la prima rata slitta dal 31 marzo al 30 settembre. Gli avvisi di accertamento, di rettifica e di liquidazione e gli atti di recupero non impugnati e ancora impugnabili al primo gennaio, diventati definitivi per mancata impugnazione tra il 2 gennaio ed il 15 febbraio, saranno poi definibili entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto. Sono definibili anche le controversie pendenti al 31 gennaio 2023 davanti alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado con oggetto atti impositivi in cui è parte l’Agenzia delle entrate.

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