L’ennesima promessa della flat tax per tutti entro fine legislatura, anche se nel breve periodo ci si limiterà a ridurre le aliquote Irpef da quattro a tre e ad estendere la tassa piatta incrementale ai dipendenti. La revisione delle attuali oltre 600 detrazioni e agevolazioni fiscali con “ipotesi di forfetizzazione per scaglioni di reddito”. Per le imprese, da un lato la suggestione del “chi più assume e investe meno paga” (e dunque dovrebbe godere di un’Ires ridotta) e del graduale superamento dell’Irap, dall’altro l’istituzione di un nuovo concordato preventivo biennale che a differenza di quello introdotto con scarsissimo successo da Giulio Tremonti nel 2003 dovrebbe basarsi su un reddito stimato dalle Entrate “in base all’incrocio delle banche dati“. Sull’Iva la solita “razionalizzazione” delle aliquote, ma l’idea di azzerarla per alcuni beni di prima necessità è tutta da valutare in base alle compatibilità finanziarie. Sono i principali punti delle slide del Tesoro sulla delega fiscale attesa in cdm la prossima settimana. Come sempre è tutt’altro che sicuro che gli auspici si traducano in realtà con l’adozione dei relativi decreti delegati, per i quali il governo Meloni si dà peraltro due anni di tempo. Gli obiettivi di fondo, stando al documento, sono “minore pressione fiscale“, “certezza del diritto”, “riduzione del contenzioso” e attrazione dei capitali esteri. La lotta all’evasione non ne fa parte, ma comparirà tra i “principi nazionali” che dovrebbero entrare nell’articolo 2 della delega.

Per quanto riguarda l’Irpef, il ddl non conterrà alcuna ipotesi sul livello delle tre nuove aliquote destinate a sostituire le quattro attuali (23% fino a 15mila euro, 25% fino a 28mila, 35% fino a 50mila, 43% oltre): le decisioni sono rinviate al momento del varo dei decreti delegati. Le slide si limitano a qualche anticipazione sugli interventi che riguarderanno i diversi redditi soggetti all’imposta. Per quelli da lavoro dipendente si parla di semplificazione delle norme sui fringe benefit, per il lavoro autonomo di “riduzione delle ritenute sui compensi nel caso in cui il lavoratore sostenga alti costi per dipendenti o collaboratori”. Il regime della cedolare secca del 21% sui redditi da locazione, che sottrae all’Irpef base imponibile favorendo i contribuenti più ricchi con molte proprietà immobiliari, potrebbe essere ulteriormente esteso “anche agli immobili non abitativi”. Per quanto riguarda invece i redditi di natura finanziaria si prevede l’eliminazione della tassazione sul maturato e un’imposta sostitutiva sul risultato complessivo netto. L’imposta di bollo e quelle ipotecarie o catastali verrebbero sostituite da un tributo unico “eventualmente in misura fissa”.

La parte III, dedicata a Procedimenti e sanzioni, prevede tra il resto – accanto a razionalizzazione degli obblighi dichiarativi e incentivazione dell’uso delle compilate – l’esclusione della decadenza da benefici fiscali in caso di “inadempimenti formali o di minore gravità“. L’evasione, dice la slide 26 ribadendo il giudizio del viceministro con delega al fisco Maurizio Leo, “è sempre stata contrastata con misure repressive, poco efficaci e sostanzialmente mai incisive“, perché “il tax gap è sempre oscillato tra i 75 e i 100 miliardi di euro”. Quindi che fare? “Rivoluzionare il procedimento accertativo”, si legge, “incentrandolo sulla tax compliance volontaria tenuto anche conto della quantità di dati (i.e. fatturazione elettronica, dichiarazioni, precompilate ecc) già a disposizione dell’amministrazione finanziaria”. Confermato, dunque, che il governo intende proseguire sulla strada di quello che Giorgia Meloni prima dell’approdo a Palazzo Chigi attaccava definendolo “Grande fratello fiscale. L’adempimento spontaneo verrebbe favorito con l’istituzione del concordato preventivo biennale, appunto, e il rafforzamento della cooperative compliance con la riduzione delle soglie di accesso e maggiori meccanismi premiali “anche ai fini sanzionatori”.

Non chiaro come si intenda intervenire per riformare la riscossione, come già previsto anche dalla precedente delega lasciata inattuata sul punto dal governo Draghi. Le slide si limitano a ricordare che il magazzino delle Entrate ha raggiunto quota 1.153 miliardi di euro e il 55% degli atti notificati ogni anno “viene regolarizzato marginalmente e rimane nel magazzino in quanto manca una prassi di cancellazione dei debiti arretrati o inesigibili”. Su questo non vengono proposte soluzioni, mentre si profila un “progressivo superamento del ruolo”, un accesso semplificato a forme di rateizzazione a 120 rate, l’estensione del termine di efficacia degli atti di riscossione “per una maggiore rapidità di recupero” e l’eliminazione delle duplicazioni organizzative, logistiche e funzionali, “con conseguente riduzione dei costi”.

Più spazio per gli ammiccamenti all’elettorato di riferimento del centrodestra nella parte relativa al sistema sanzionatorio, dove si ventila quanto al penale la “revisione dei profili sanzionatori per gli omessi versamenti non reiterati” già preannunciata da Leo e per le sanzioni amministrative una “maggior proporzionalità rispetto alle condotte contestate”. Nessun riferimento in questa fase alla depenalizzazione della dichiarazione infedele già proposta lo scorso dicembre – nell’ambito di un più ampio scudo penalevia emendamento alla legge di Bilancio, ma tramontata dopo le barricate delle opposizioni.

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