Uno stop, nella migliore delle ipotesi. Un balzo all’indietro sui diritti, se ad essere approvata sarà la nuova legge della Lega depositata nel pomeriggio. E’ questa la pagina scritta oggi in Commissione giustizia alla Camera sui diritti delle madri detenute. Una scelta che porta la firma di Fratelli d’Italia e viene sbandierata anche dal Carroccio che proprio un anno fa aveva votato il provvedimento di cui ora decreta la morte. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una serie di emendamenti proposti da Fratelli d’Italia, che avrebbero “peggiorato non solo il provvedimento ma anche la legge in vigore”, sostiene Alessandro Zan (Pd).

La proposta originale – Obiettivo principale del testo, presentato nella legislatura in corso dalla dem Debora Serracchiani, era evitare che i bambini da zero a sei anni finissero nei penitenziari con le madri. Per farlo, il provvedimento prevedeva due grandi misure. La prima: porre il carcere come ultima opzione per le detenute madri con figli al seguito, da percorrere solo in caso di impossibilità di assegnare le madri a domiciliari, case protette o Istituti a custodia attenuata (Icam). In secondo luogo, potenziava le strutture alternative, introducendo fondi pubblici alle case famiglia protette, attualmente solo due in Italia, a Milano e a Roma, e senza oneri a carico dello Stato.

A ispirare il disegno di legge originale, presentato nel 2019 dall’ex deputato Pd Paolo Siani, era stata la morte di due fratellini di quattro mesi e un anno e mezzo, dentro il carcere di Rebibbia. Nella sezione nido del penitenziario femminile, il 20 settembre 2018 una detenuta di origini tedesche in custodia cautelare da 20 giorni aveva ucciso i due figli gettandoli dalle scale in pieno giorno, nonostante i sistemi di controllo. Quell’episodio aveva portato la politica a formulare una legge, da anni le associazioni di settore la chiedevano, per rendere quasi impossibile l’ingresso dei bambini in carcere. Dopo una serie di blocchi, la legge era stata approvata in prima battuta alla Camera, con l’ok di tutte le forze politiche di governo e la sola astensione di Fratelli d’Italia. A riprenderla nella nuova legislatura Debora Serracchiani che aveva ottenuto l’ok alla procedura d’urgenza.

Il testo che vorrebbe FdI – Carolina Varchi, capogruppo di FdI in commissione Giustizia, ha proposto che in caso di recidiva la legge fosse inapplicabile e le detenute madri o incinte andassero in carcere di default, senza che fosse un magistrato a valutare i singoli casi. Uno degli emendamenti della deputata, inoltre, chiedeva di revocare la potestà genitoriale in caso di recidiva. Queste modifiche avrebbero stravolto la proposta di legge che invece mira a fare il possibile per garantire il rapporto madre-figlio e a far sì che venga preservato in un ambiente il più possibile diverso dal carcere. Già la legge 42/2001, cosiddetta “Finocchiaro”, stabiliva che le madri condannate, anche con pene elevate, potessero accedere a misure alternative alla detenzione per il principio di tutela del rapporto con i propri figli. Le proposte di FdI vanno in senso contrario, mettendo in discussione lo stesso diritto alla maternità, garantito in Italia fin dagli anni settanta (art. 11 legge 354/1975) e riconosciuto anche dalla legge attualmente in vigore (62/2011).

Da anni associazioni e garanti si battono perché venga data piena attuazione alla normativa attuale, che in realtà già prevede che i bambini non vadano in carcere. “Quella in vigore sarebbe anche una buona legge, ma non è applicata a sufficienza “- dice a ilfattoquotidiano.it Daniela De Robert, membro del Garante dei diritti dei detenuti. Le case famiglia protette dovrebbero già essere il primo luogo di assegnazione di una detenuta madre con figli molto piccoli. In caso di reati gravi o in mancanza di posti in casa protetta, il giudice dovrebbe mandare la detenuta in Icam e in extrema ratio in carcere. Tuttavia per molto tempo si è decisa la detenzione in carcere senza verificare misure alternative. Ed è in questa direzione che sembrano voler retrocedere FdI e Lega.

Lo schiaffo ai diritti Il Covid ha ridotto drasticamente la presenza di bimbi in carcere, 24 secondo l’ultimo rapporto ministeriale, senza però mai azzerarla. “Anche un solo bambino in carcere è troppo, ma rispetto al passato ora i numeri non sono altissimi – dice De Robert – In media si parla di 20 donne con bambini nel 2022 finiti in Icam o sezione femminile. Ma questa condizione deve tendere il più possibile allo zero, perché il carcere non è un luogo idoneo ai bambini. Possono sussistere esigenze di alta sicurezza ma bisogna stare attenti a tenere sempre presente che la nostra legge attuale tutela la genitorialità”. A spaventare è anche il fatto che si discuta di una possibile revoca della responsabilità genitoriale. “La tendenza diffusa è quella di togliere la patria potestà a chi commette reati, a chi sia tossicodipendente o fa una vita dissoluta, ma questo non è accettabile”, sostiene la garante. A condannare la regressione in vista è anche Luigi Manconi, che ricorda quanto di politico ci sia dietro questo tema. “Quella delle madri detenute – dice a ilfattoquotidiano.it Manconi – è sempre stato un fattore verità per il sistema penitenziario che dimostra lì la sua irriformabilità. E’ irrazionale un sistema incapace di provvedere con intelligenza e senso di umanità alla condizione di un gruppo relativamente piccolo di bambini e delle loro madri, un sistema che porta in carcere gli innocenti assoluti, quelli che non hanno la minima colpa e nemmeno un’ombra di essa, cioè i bambini”, ricorda. La proposta di legge è stata già ripresentata dalle forze di governo, ma il timore, adesso, è che si regredisca ancora, riportando a crescere i numeri dei bambini in carcere. Per la deputata dem Debora Serracchiani, la mossa della destra è “disumana”, perché “si scaglia contro le bambine e bambini di detenute madri, che continueranno a dover vivere dietro le sbarre e pagare per colpe altrui”. Secondo la garante De Robert “è fondamentale che tutti i temi che riguardano il carcere siano occasione di riflessione, anche di scontro duro se serve, ma sul senso della pena nel contesto della Costituzione e non di una battaglia di bandiera”.

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