Un anno di guerra, un anno di Zelensky: guidando la resistenza alla Russia, si è “rivelato” al mondo. Ma sino al giorno prima che venisse scatenata dalla Russia, che uccelli del malaugurio, e in malafede, quelli che l’annunciavano, la prevedevano, la temevano! Quanto si sono prodigati nello smentire gli allarmismi i prodi Vladimir Putin e Sergej Lavrov, suo ministro degli Esteri! Ripetevano a destra e a manca, con toni indignati, che l’ammassamento delle truppe russe (oltre 150mila uomini) ai confini dell’Ucraina rientrava nella normalità degli addestramenti ed era “relativo a manovre militari” previste da tempo. Non c’era alcuna intenzione da parte della Russia di invadere l’Ucraina, illazioni propagandistiche di Washington e della Nato! Pinocchio, un dilettante.

Con immensa faccia tosta i due mentitori denunciarono gli americani, e chi paventava il peggio, perché lanciavano “false accuse”. Ineffabili. E tuttavia, la propaganda del Cremlino era talmente persuasiva che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si fece illudere dalle smentite ritenendo che Washington esagerasse la minaccia. Per non parlare degli europei, soprattutto coloro che con la Russia trafficavano e dalla quale dipendevano per il gas. Rimasero diffidenti e scettici nei confronti della Cia, la fonte di tali informazioni, o forse perché proprio diffuse dalla screditata agenzia d’intelligence Usa la quale insisteva, a loro avviso in modo un poco fazioso, nel fornire le notizie sull’imponente mobilitazione dell’esercito russo e così molti governi del vecchio continente sottovalutarono la documentazione dei satelliti spia, peraltro fatta pervenire anche ai media. Immagini eloquenti e inquietanti, rapporti dettagliati, rivelazioni sui piani eversivi di Mosca per destabilizzare Kyiv, complotti per rovesciare Zelensky, provocazioni create ad arte (letteralmente: con video e attori) che continuavano ad affluire sempre più precisi e implacabili svelando i piani di Mosca.

Alla fine, la Cia ebbe (purtroppo) ragione. L’invasione ci fu ed è inconfutabile chi la avviò. In questo triste anniversario dovrebbe essere un obbligo rammentare agli smemorati che all’alba del 24 febbraio del 2022 le intemerate dichiarazioni del Cremlino dimostrarono d’essere state solo menzogne: poiché alle 5 e 30 di quel gelido mattino del 24 febbraio scattò l’attacco russo. L’esercito di Mosca invase l’Ucraina lungo tre direttrici: a sud, dalla Crimea, a est, nel Donbass e a nord, dalla Bielorussia alleata. Quest’ultimo asse era il principale. Il più ambizioso. Colonne infinite di tanks e autoblindo puntavano verso Kyiv, per conquistarla e insediare un governo filo russo. Le principali città ucraine erano bombardate dall’aviazione russa, terrore e incredulità sconvolgono 45 milioni di ucraini.

L’Europa assisteva, impotente, timorosa: un intervento diretto significava guerra totale. Così, gli ucraini debbono cavarsela come possono sfruttando gli aiuti militari già pervenuti e contrastando l’avanzata, maldestramente condotta dai generali russi. Putin dichiara che si tratta di una rapida “operazione militare speciale” per eliminare i neonazisti dall’Ucraina e per impedire il genocidio delle popolazioni russofone. Mai vendere la pelle dell’orso, anche se sei tu l’Orso.

L’operazione rapida fallisce. Poi, stragi, fake news, propaganda e minacce persino di guerra nucleare. La logistica russa va in tilt. Ai vertici dei comandi si alternano generali e commodori, mentre si delinea la rivalità tra esercito regolare e i mercenari della Wagner culminata un paio di giorni fa con le dichiarazioni stizzite del padrone di questa società paramilitare contro il capo di stato maggiore russo e il ministro della difesa (“Non ci consegnano le munizioni e non ci offrono più i passaggi in aereo.”). Faide al Cremlino, segnali di dissenso ai vertici e lotte di potere. Putin voleva domare Kyiv, ora gli tocca domare chi alza la cresta e rivendica più spazio sotto (?) la sua egida.

Molte sciocchezze Putin si ostinerà a ripeterle: soprattutto quando s’inventa che la colpa dell’operazione speciale è dell’Occidente. Mosca ha cominciato per prevenire l’attacco alla Grande Madre Russia condotto dalla Nato, orchestrato da Washington e dai suoi alleati. L’ossessione putiniana: l’Occidente depravato assedia la Russia (che è il paese più vasto del pianeta). E’ il suo alibi. Quando il mondo apprende che la Russia ha aggredito e invaso l’Ucraina violando ogni regola internazionale ed etica, ci si aspetta che Kyiv si arrenda, tanto asimmetrico è il confronto militare tra i due Paesi. Invece Kyiv resiste oltre ogni logica. O meglio, una logica c’è: la strenua difesa della patria, la memoria ritrovata di un popolo, l’ascesa impetuosa di un’ identità nazionale che assume contorni chiari ed espliciti: quella di un’Ucraina affine ai valori europei e non a quelli della Russia guidata da un despota in guerra con l’Occidente, roso dalla bramosia di ripristinare l’Impero ex sovietico.

La resistenza ucraina è sbalorditiva. Regge da un anno. La Russia, compresa la Crimea, riesce a occupare il 24,4 per cento del territorio ucraino. In marzo l’esercito ucraino si riorganizza e conduce attacchi di guerriglia. Compie blitz clamorosi. Ad aprile l’esercito russo ripiega, incapace di accerchiare Kyiv e Kharkiv, abbandona il nord e punta a rafforzare il fronte sud. Il 13 aprile cola a picco l’incrociatore Moskva, uno smacco per Putin. I russi si concentrano sulla centrale nucleare di Zaporija, la più grande d’Europa e su Mariupol, dove opera l’odiato reggimento Azov, unità paramilitare (inizialmente di estrema destra e poi miscelato con altre formazioni regolari). Durante l’assedio vengono colpiti una scuola materna (9 marzo) e il teatro (16 marzo) in cui s’erano rifugiate circa mille persone, soprattutto donne e bambini. Stragi che indignano il mondo. Asserragliati nella gigantesca fabbrica Azovstal, gli ucraini si arrendono definitivamente il 20 maggio. Ma in autunno l’esercito ucraino conduce due furibonde controffensive e nel giro di poche settimane recupera 12mila chilometri quadrati. Crimea compresa, i russi erano riusciti a occupare il 24,4 per cento del territorio ucraino. Oggi questa percentuale è scesa al 16,4 per cento. Tuttavia, il tributo di sangue è spaventoso: secondo stime occidentali, centomila ucraini avrebbero perso la vita, a fronte di quasi 170mila russi.

Non si può certo riassumere una guerra che dura già da un anno in quattro righe. Né ho alcuna intenzione di delineare scenari dell’immediato futuro. Nemmeno Biden l’ha fatto. Ha evitato di dire che l’Ucraina per vincere la guerra deve scacciare la Russia da tutte le zone occupate, compresa la Crimea. Ha detto solo: “L’Ucraina non sarà mai una vittoria per la Russia”. Per ora, Biden ha fatto quello che può e quello che dovrebbe fare, dando a Zelensky decine di miliardi di dollari e armamenti sempre più sofisticati, ma si sa, Zelensky ne vorrebbe sempre di più, “gli appetiti dell’autocrate non possono esser accolti”, nel suo discorso a Varsavia ha nominato dieci volte Putin, “la guerra del presidente Putin”, “la sete di terra e di potere del presidente Putin fallirà” e via col tango etichettandolo come tiranno e dittatore. La realtà è che non tutto è andato come dovrebbe, nella strategia anti Putin architettata a Washington. Le sanzioni “shock e stupore” imposte da Usa e alleati avrebbero dovuto scardinare l’economia russa, ma non è ancora successo. Mosca aggira le sanzioni con triangolazioni e contrabbando. I mercati mondiali comprano gas e petrolio russi. La partnership “senza limiti” della Cina non vacilla, almeno sulla carta. Pechino è prudente. Aiuterà Mosca, ma al minimo aziendale.

Oh, c’è in giro tanta voglia di sapere. L’Ucraina è al centro dei nostri interessi? O dopo un anno vi è una sorta di disinteresse fisiologico? Le edicole sono zeppe di inserti speciali, le librerie offrono saggi esaustivi, le tv propongono documentari drammatici, i talk show sono palestre di interminabili discussioni. Però, una cosa si può affermare, senza timore d’essere contraddetti. In questi tremendi dodici mesi siamo cambiati. Noi, spettatori del conflitto, al sicuro nei nostri tinellini, al riparo da schegge, bombe, missili, col conforto delle luci domestiche, del tran tran quotidiano e delle dinamiche familiari – a differenza degli ucraini: otto milioni di loro, poco meno di un quinto della popolazione, sono stati costretti a diventare profughi – siamo cambiati dall’inerzia emotiva della “War Machine” e dalle ineluttabili derive collaterali del conflitto.

Non solo e non tanto per le problematiche materiali, ma soprattutto, per quelle psicologiche. Come ha detto Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, l’aggressione russa all’Ucraina è stato un affronto alla nostra coscienza collettiva. Il che vale per tutte le guerre. Questa ci coinvolge da vicino. E’ alle soglie della nostra casa comune, l’Unione Europea. E’ raccontata istante per istante, le nuove tecnologie digitali ci portano la guerra in tasca, il suono e le immagini della morte, il fragore delle battaglie, il rumore degli spari, le grida, la paura e la rassegnazione. Siamo appesi ai terrificanti resoconti di guerra. Ai diari di chi sopravvive sotto assedio. Allo struggimento di chi ha figli, mariti, mogli al fronte. Alle testimonianze delle brutalità, della violenza bestiale, dei comportamenti criminali delle truppe. Già 60 mila casi documentati di crimini di guerra. Un paese devastato. Bombardato quotidianamente: obiettivi civili nel mirino, la tattica per demoralizzare il nemico.

Dodici mesi anche di lancinanti questioni. Queste, per esempio: scatenando le truppe contro Kyiv, Vladimir Putin ha dimostrato di costituire una minaccia per l’Europa. E per la democrazia? Aiutare l’Ucraina è il prezzo della libertà? Di certo, lo scontro ideologico e politico tra l’esibita volontà imperialista del regime putiniano che si erge a paladino di un mondo multipolare e anti occidentale e i valori (e gli interessi) dell’Occidente democratico, liberale e capitalista sono il cuore del confronto che rischia di radicalizzarsi. Aggredendo l’Ucraina, Putin ha preso una decisione che sta sconvolgendo l’equilibrio mondiale politico ed economico e che avrà tragiche ripercussioni anche nella stessa società russa (per non parlare dell’immagine della Russia abbondantemente compromessa da questa guerra dalle immani e devastanti conseguenze). Ma, allo stesso tempo, sulla guerra, sui suoi effetti e sulla sua finalità, nel corso dei mesi si sono accese le polemiche. Sono nate divergenze e si sono sviluppati, a livello politico, parecchi contrasti.

In un recentissimo sondaggio realizzato dal think tank Consiglio europeo per le relazioni internazionali che ha riguardato nove paesi Ue, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, l’India, la Turchia, la Cina e la Russia e reso pubblico mercoledì 22 febbraio, si appura che l’immagine della Russia differisce parecchio tra le popolazioni dell’Ovest e quelle dei paesi non occidentali coinvolti nel sondaggio. Americani ed europei sono in maggioranza d’accordo per definire Mosca “avversaria” o “rivale” con cui bisogna essere in concorrenza: lo pensa il 77 per cento dei britannici, il 71 degli statunitensi, il 65 dei cittadini Ue.

Invece, il 51 per cento degli Indiani vedono Mosca come un alleato con cui condividere i propri interessi e valori, mentre il 44 per cento dei cinesi e il 55 per cento dei turchi considera piuttosto la Russia come un partner “necessario”, con cui “cooperare per ragioni strategiche”. Una parte dei non-occidentali (40 per cento cinesi, 27 turchi) pensa che l’impegno europeo a fianco di Kyiv sia il pretesto per difendere “il dominio dell’Ovest”. Del resto, anche il 45 per cento dei cittadini Ue stimano che il sostegno occidentale sia per “difendere la nostra sicurezza”, mentre solo il 15 per cento degli europei crede che sia un mezzo per “difendere la democrazia ucraina”. Raro punto di convergenza: una piccola parte dell’opinione pubblica mondiale (20 per cento Indiani, 9 per cento russi, 14 per cento europei e 10 per cento britannici) è d’accordo per giustificare il sostegno di Washington in quanto volontà di “difendere l’integrità del territorio ucraino”.

Lo studio mostra anche un elemento di consenso diciamo così globale: gli Stati Uniti non saranno più l’unica potenza dominante, questo malgrado la dimostrazione di forza dall’inizio della guerra in Ucraina. Gli Occidentali anticipano il ritorno a un mondo bipolare, attorno a due blocchi opposti guidati dalla Cina e dagli Usa, in cui paesi come Turchia e India, marchiati dalle ambivalenze delle loro alleanze geopolitiche, dovranno scegliere con chi stare. Questo modello è rigettato però dai non occidentali, per i quali il bipolarismo è morto con la fine della guerra fredda e ora ci si aspetta un mondo multipolare in cui l’Occidente non sarà che un polo tra tanti altri. Gli autori dello studio quindi deducono un possibile avvento di alleanze in seno alle quali il “partenariato commerciale” non sarà più forzatamente un “partenariato di sicurezza”. Insomma, dovremmo ammettere che paesi come India e Turchia analizzino l’aggressione russa alla luce dei “loro propri interessi piuttosto che in nome dei principii universali”.

Mica è tutto. In Occidente – è il succo di un’inchiesta di Le Monde a Berlino, Roma, Londra, Varsavia e Washington – il sostegno all’Ucraina è “a geometria variabile”. Eufemismo per dire che vi sono differenze talvolta sostanziali tra le varie opinioni pubbliche, i cui lati opposti sono Gran Bretagna, assai risoluta a sostenere l’Ucraina, e l’Italia, in cui il conflitto urta la cultura pacifista che reclama la pace, un pacifismo cioè di principio le cui radici hanno origini sia nell’influenza della Chiesa cattolica che nell’eredità “ancora vivace” (scrive Le Monde) di quel che fu il Partito comunista più potente del mondo occidentale. La guerra in Ucraina è strumento di regolamenti di conti sia all’interno dello schieramento del governo di estrema destra (Silvio Berlusconi e Matteo Salvini contro Giorgia Meloni) sia all’opposizione.

La difesa ucraina di fronte all’aggressione russa è percepita come un ostacolo al ritorno della pace. Elementi della propaganda russa sulle responsabilità dell’inizio di questa guerra penetrano in profondità in seno all’opinione pubblica, osserva il quotidiano francese, “sia a destra come a sinistra”, dove Zelensky non gode di un giudizio unanimemente positivo. Come succede in America per Biden, attaccato dai trumpiani (“E’ molto preoccupato per quei confini dall’altra parte del mondo, non ha fatto nulla per proteggere il nostro confine qui a casa, invia denaro in terre lontane e ignora le nostre sofferenze”), anche da noi i pacifisti (chiamati da qualcuno ‘pacifinti’) obiettano le stesse cose al governo Meloni (e prima al governo Draghi) che invece ha ribadito il suo sostegno a Kyiv. Le piccinerie di casa nostra.

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