di Stefania Rotondo

La guerra è la più umana delle espressioni. I popoli, che costituiscono le nazioni, sono composti da esseri umani che scaricano sugli Stati le proprie sventure. Pretendono che le nazioni siano ricche, morali, accoglienti, che non facciano mai la guerra. Tutto ciò che il singolo umano non è e non fa. Ma le nazioni sono fatte da uomini e quello che ci dicevamo in cattività durante il Covid, ovvero ‘ne usciremo migliori’, si è sciolto come neve al sole, perché ciò che abbiamo tratto dall’esperienza della pandemia è che le nazioni sono quelle che sono: semplicemente ‘umane’.

Se una cosa potrà insegnarci la terza guerra mondiale è che la storia è fatta dai popoli e non da leader. Non è Vladimir Putin che ha creato la guerra; sono i russi, insicuri nella propria pianeggiante geografia, timorosi per le invasioni da ovest e da est e conseguentemente aggressivi nella storia, che hanno creato Vladimir di Kiev, Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Vladimir Lenin, Iosif Stalin e per ultimo Putin. Non è Volodymyr Zelensky ad aver deciso di non fuggire e resistere; sono gli ucraini, nati dallo smembramento della Rus’ di Kiev, dominati dai Lituani, dai Polacchi, dagli Austro-Ungarici, dai Reich tedeschi, sopravvissuti grazie all’autodeterminazione dei cosacchi, russificati e poi incorporati nell’Unione Sovietica, massacrati dall’Holodomor di Stalin, usati come merce di scambio attraverso colpi di stato ad hoc e guerre per interposta persona, ad aver reagito al triste destino che si cela nel nome del proprio Paese (U-craina: territorio di confine).

Non sono né Joe Biden, né Emmanuel Macron, né Olaf Sholz, né Andrzej Duda ad aver riempito l’Ucraina di armi, assediato i confini europei con il riarmo della Nato e l’allargamento della Ue, messo i bastoni fra le ruote alla nascita del feudo indipendente cinese nel loro sistema; sono i popoli che loro rappresentano, ad aver legittimato e riconosciuto le proprie storiche mire espansionistiche, le millenarie debolezze geopolitiche ed economicistiche pianificato e in parte attuato lo smembramento e la spartizione delle risorse della ‘giungla del mondo’, rea di essere dominata da ‘dittature chiuse’. Il popolo occidentale ha un’idea precisa di sé. Si crede un ‘giardino’ libero, come dice Josep Borrel, un’area tranquilla e ordinata, dove tutto funziona, un modello di nazioni perfetto, combinazione impeccabile tra politica libera, prosperità economica e coesione sociale, che lotta contro una ‘caoslandia’ agitata, dalla quale può essere invasa da un momento all’altro. Ma ‘caoslandia’ conta 8 miliardi di abitanti e cresce sempre di più, mentre il giardino appena 1 miliardo e fra un secolo sarà un deserto, demograficamente e climaticamente.

I grandi imperi hanno una percezione della storia rigorosa. In essi sono da sempre i popoli a fare i leader. In un testo di storia turco non c’è alcuna differenza tra l’Impero Ottomano e la Turchia odierna. In Russia, il grande impero di Vladimir di Kiev è ancora vivido nella psicologia collettiva. Ecco spiegato il legame sentimentale e strategico dei russi per la terra di confine-cuscinetto d’Ucraina. Nell’occidente ‘rigoglioso’, invece, sono convinti che siano i leader a fare i popoli e dopo il Congresso di Vienna nell’800, il Patto Atlantico nel ‘900 e la globalizzazione negli anni 2000, i popoli si sono spartiti il mondo tranquillo e quello agitato. Si sono illusi di sacrificare sull’altare del libero mercato l’idea di nazione rendendosi tuttavia dipendenti dalla ‘giungla’, in attesa di poterla radere al suolo.

Ma la storia non è fatta di cesure, di finali di stagione. Nonostante la globalizzazione, il dna degli euro-atlantici è rimasto inalterato nei secoli: fisiologicamente nazionalistico e oppressore. Sono ancora loro. La Francia, napoleonica; la Russia, zarista; la Germania, germanica; i turchi, ottomani. I polacchi odiano ancora i russi; i russi i polacchi e ucraini; gli ucraini i russi e polacchi. Gli Usa vogliono ancora incorporare popoli e terre.

Continuando così, la giungla gli verrà addosso.

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