di Sergio Malcevschi

E’ stato appena avviata da parte del ministero dell’Ambiente (Mase) la fase di consultazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc). Le organizzazioni interessate possono ora inviare osservazioni, che potranno essere gentilmente messe da parte o invece contribuire a migliorare il Piano stesso. Il tempo concesso è di 45 giorni, all’interno del percorso di Valutazione Ambientale Strategica.

Gli sconvolgimenti del clima sono il punto di partenza, ormai una costante della cronaca, dai record meteoclimatici alle strategie di risposta delle nazioni e dei cittadini. Ad esempio negli ultimi giorni abbiamo trovato la troppa neve sull’Etna (con 60 cani rimasti intrappolati) e la mancanza d’acqua nel bacino del Po (un guaio per l’agricoltura), la decisione europea sulla sostituzione delle auto attuali con le elettriche e l’adeguamento energetico delle case (senza più l’Ecobonus).

La strategia dell’adattamento può sembrare riflettere una logica di sconfitta: vuol dire che non siamo riusciti a bloccare le cause (le emissioni) all’origine di cambiamenti stravolgenti che non dovrebbero essere avvenuti. Vuole dire accettare come dato di fatto la perdita (la morte) o il danneggiamento di valori e sicurezze che prima c’erano sui territori. Qualcuno pagherà per questi danni (in particolare quelli le cui emissioni climalteranti sono stati le cause iniziali)? E’ stato questo il tema del “Loss and Damage” che ha tenuto banco nell’ultima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite (la Cop 27 dello scorso novembre a Sharm el-Sheik). Se ne parlerà ancora a lungo.

Ma intanto il guaio, anche nella più utopistica delle ipotesi (quella di bloccare entro il 2023 tutte le nuove emissioni di gas serra), è che per le inerzie per processi in corso nei prossimi anni (per almeno un paio decenni) aumenteranno i rischi dei danni di origine climatica: basta vedere cosa stanno facendo le compagnie di assicurazione.

Cosa fare? Non ci sono alternative, la massima urgenza è quella della prevenzione: l’aumento della robustezza intrinseca dei nostri territori (la loro resilienza) rispetto agli impatti attesi mediante difese strutturali che devono essere permanenti, senza provocare a loro volta nuovi impatti, sfruttando invece le opportunità polivalenti di miglioramento contestuale dell’ecosistema e del paesaggio. E’ questo l’“adattamento”, da vedere come una parziale rinascita fortificata dei territori stessi senza che si perda la loro identità.

Ma l’adattamento dovrà essere buono, efficace e giusto. Per questo è importante che adesso tutti gli interessati facciano la loro parte nel perfezionamento definitivo del Piano Nazionale: le amministrazioni di varia scala, i tecnici, le associazioni. E anche i media e i cittadini, che possono mettere sul tavolo uno strumento potentissimo, per certi aspetti il più potente: l’attenzione.

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