Si riparte da dove si era rimasti. Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc), parzialmente aggiornato rispetto alla versione precedente e pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) dovrà essere sottoposto a consultazione pubblica, esattamente come era accaduto nel 2017 e come prevede la procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas). Circa cinque anni fa, poi, caduto il governo guidato da Paolo Gentiloni, quel piano è rimasto fuori dall’ordinaria amministrazione portata avanti fino a marzo 2018. E anche dopo, con i governi Conte e quello Draghi, non è mai stato pubblicato. Per alcuni quella versione è ormai inutilizzabile e tra questi c’è anche Sergio Costa, ex ministro all’Ambiente in entrambi i governi presieduti da Giuseppe Conte. Per altri, invece, è ancora valido, pur necessitando di alcuni aggiornamenti. A pensarla così, ad esempio, Gian Luca Galletti, ex ministro dell’Ambiente (del governo Renzi) quando ne fu pubblicata la prima versione. “È chiaro che in così poco tempo quel piano non poteva essere rivoluzionato, ma ora il documento va approvato” ha commentato a ilfattoquotidiano.it Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, secondo cui “non c’è tempo per riscriverlo, mentre le persone muoiono in seguito a eventi estremi e l’agricoltura va a rotoli a seconda dei mesi di siccità. In caso – aggiunge – si fa in tempo ad aggiornarlo”. Di fatto, se l’impostazione non è cambiata, qualche modifica è stata apportata.

Le parole del ministro – Si tratta di circa cento pagine di piano, a cui si aggiungono quattro allegati: metodologie per la definizione di strategie e piani regionali di adattamento, metodologie per la definizione di strategie e piani locali di adattamento (in entrambi i casi si tratta di rafforzare l’attuale capacità amministrativa), impatti e vulnerabilità settoriali, e infine database delle azioni. “Uno strumento di programmazione essenziale per un paese come il nostro, segnato da una grave fragilità idrogeologica” ha detto il ministro Gilberto Pichetto Fratin, sottolineando che “le recenti tragedie di Ischia e delle Marche hanno ricordato quanto sia assolutamente necessaria in Italia una corretta gestione del territorio e la realizzazione di quelle opere di adattamento per rendere le nostre città, le campagne e le zone montuose, le aree interne e quelle costiere più resilienti ai cambiamenti climatici”. Il ministro ha anche spiegato che, da quando si è insediato il Governo Meloni, con il supporto di Ispra, è stata data un’accelerata alle procedure. “Va dato atto al ministro Pichetto Fratin che è stato di parola, ha detto che entro fine dell’anno avrebbe pubblicato il piano per procedere alla consultazione e questo è avvenuto” ha spiegato a ilfattoquotidiano.it Stefano Ciafani, secondo cui “anche i precedenti governi avrebbero potuto pubblicarlo”.

L’iter non ancora concluso – Cosa lo ha impedito? “Al contrario di quanto avviene per l’aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), ancora tarato su un taglio delle emissioni del 40% (mentre nel Fit For 55 l’Ue prevede una riduzione del 55%) a causa delle pressioni della lobby del fossile – ha commentato Ciafani – in questo caso è mancata la volontà politica”. In realtà, però, anche in questo caso l’iter non è concluso. Solo dopo l’esame delle osservazioni e la conclusione della procedura di Vas, il testo andrà all’approvazione definitiva con decreto del ministro. Verrà insediato l’Osservatorio Nazionale, che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano individuando le azioni di adattamento nei diversi settori, le priorità, i soggetti interessati e le fonti di finanziamento, oltre che le misure per rimuovere gli ostacoli all’adattamento.

Il documento sottoposto a consultazione – Il documento è stato strutturato in cinque parti. Si parte dal quadro giuridico di riferimento, a livello europeo, nazionale, ma anche regionale e locale, per poi passare al quadro climatico nazionale con un’analisi sul periodo 1981-2010 e una sintesi degli eventi estremi degli ultimi anni. Cuore di questi capitolo sono le proiezioni climatiche future in base a tre scenari: crescita delle emissioni a ritmi attuali (business-as-usual), forte mitigazione e mitigazione aggressiva (con emissioni dimezzate entro il 2050). Un terzo capitolo è dedicato, nello specifico, agli impatti dei cambiamenti climatici in Italia e alle vulnerabilità settoriali. I settori trattati sono quelli già inclusi all’interno della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del 2015 e corrispondono ai sistemi ambientali e ai settori socio-economici più vulnerabili. Per alcuni impatti ci sono dati aggiornati, per altri si fa riferimento agli anni tra il 2017 e il 2018, offrendo un quadro ritenuto comunque “efficiente nell’anticipare le ricadute sui settori della politica governativa, economica ed ambientale”. Si parla, dunque, di montagna e criosfera (l’insieme di neve, ghiacciai e permafrost), risorse idriche (“gran parte degli impatti sono riconducibili a modifiche del ciclo idrologico e al conseguente aumento dei rischi che ne derivano”), ambienti marini, ecosistemi e biodiversità di acque interne e di transizione, zone costiere, suolo e territorio (che significa anche dissesto geologico, idrologico e idraulico), ecosistemi terrestri, specie alloctone invasive, foreste. Ma si affrontano anche gli impatti su agricoltura e produzione alimentare, pesca marittima, acquacoltura, turismo, insediamenti urbani, trasporti e infrastrutture, industrie e infrastrutture pericolose, patrimonio culturale, energia e salute. Qualche esempio: per il settore dei trasporti si stima che l’impatto economico dovuto agli eventi estremi, entro il 2040-2070 potrebbe aumentare del 1900% rispetto agli attuali 0,15 miliardi di euro all’anno, mentre per il settore del turismo si prevedono perdite di 17 miliardi di euro con un riscaldamento globale a +2°C e di 52 miliardi a +4°C.

Misure e azioni di adattamento – Il quarto e quinto capitolo sono dedicati a misure e azioni di adattamento e governance dell’adattamento. Sono state individuate 361 azioni settoriali alle quali è stato applicato un metodo di valutazione: a ogni azione è stato attribuito un giudizio di valore (basso, medio, medio-alto e alto) rispetto ad alcuni criteri selezionati nell’ambito della letteratura disponibile (efficienza, efficacia, effetti di secondo ordine, performance in presenza di incertezza, implementazione politica). L’insieme delle 361 azioni è consultabile tramite un database, modificato rispetto a quello del 2018 in seguito al recepimento delle osservazioni della Commissione tecnica VIA-VAS (sono state, per esempio, eliminate le macroregioni e le aree climatiche omogenee) e della necessità di aggiornamento. La maggior parte delle azioni sono di tipo non strutturale (soft): 274 pari al 76% del totale. Seguono le azioni basate su un approccio ecosistemico (green), pari al 13% e quelle infrastrutturali e tecnologiche (grey), l’11% del totale. Il 59% delle azioni hanno ricevuto un giudizio complessivo alto, il 29% medio-alto e il 12% un giudizio complessivo medio, medio-basso e basso.

Ciafani: “Impossibile stravolgere il piano. L’impostazione è la stessa” – “In meno di un mese era impossibile stravolgere il piano. L’unica cosa che si poteva fare era aggiornare alcuni dati” ha spiegato Ciafani. Ci sono quelli sulle portate idriche dei fiumi, quelli sulle piogge, sugli eventi estremi. “Direi che l’impostazione è la stessa del piano precedente – ha aggiunto il presidente nazionale di Legambiente – anche perché il piano è il passaggio successivo dell’approvazione della Strategia nazionale di adattamento alla crisi climatica e ha bisogno di definire il quadro entro cui bloccare una serie di interventi da fare con le risorse economiche a disposizione”. In pratica, senza piano, non è chiaro dove spendere le risorse e si rischia di rimanere in una situazione di stallo e di non investire dove, invece, ci sarebbe più urgenza. Dunque l’approvazione del piano è una condizione necessaria anche se non ancora sufficiente a garantire che il Paese si adatti veramente alla crisi climatica.

La partita economica – “Il piano specifica una serie di azioni concrete – ha aggiunto Ciafani – ma servono le risorse economiche, non ancora stabilite, per far fronte ai cambiamenti climatici, per evitare che le aree costiere non subiscano danni economici per turismo, agricoltura, impianti di produzione di energia che hanno bisogno di acqua per raffreddarsi, ondate di calore che causano tante morti nelle aree urbane”. Nel documento vengono definite una serie di linee di finanziamento europee che possono essere utilizzate, ma nella legge di Bilancio non è previsto nulla di tutto ciò. Se nei prossimi mesi, dopo la consultazione e le eventuali modifiche, il piano viene approvato “siamo al primo tempo, ma il secondo tempo – aggiunge Ciafani – quello che ti permette di vincere la partita, è la definizione delle risorse economiche, per esempio per riconvertire alcune produzioni agricole, affrontare il tema di come evitare l’arrivo di acqua salata che danneggiano le colture in pianura o fronteggiare i depositi di pioggia che nelle città creano allagamenti”.

Twitter: @luisianagaita

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