Si chiama Transparency Italia, ma sembra più House of Cards. Le modalità di elezione dei vertici sono duramente contestate, in assemblee cariche di tensione volano accuse pesanti, soprattutto per chi ha fatto della trasparenza il proprio logo: “Disprezzo per le basilari regole etiche”, “dispregio per le regole statutarie” e così via. Da un paio d’anni, il braccio italiano della più nota associazione internazionale contro la corruzione è dilaniata da un feroce scontro interno. Uno scontro che, per la prima volta, FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 11 febbraio, è in grado di ricostruire documenti alla mano. A partire dalle due lettere inedite con cui la “casa madre”, Transparency International, nel 2022 ha ripetutamente minacciato di togliere al “capitolo” italiano la possibilità di utilizzare il nome e il marchio Transparency.

In questo clima, a dicembre si è dimessa polemicamente dal Comitato esecutivo Nicoletta Parisi, docente di Diritto internazionale ma, soprattutto, componente del consiglio dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) dal 2014 al 2020, quando era presidente Raffaele Cantone. Diversi apprezzati membri dello staff hanno cercato un altro lavoro, a partire dal direttore Davide Del Monte, fuoriuscito nel 2020, oggi alla guida dell’associazione info.nodes.

All’origine di tutto c’è, o per meglio dire c’era fino a qualche giorno fa, la lotta di potere fra la presidente, l’avvocata Iole Anna Savini, e il vicepresidente, il banchiere d’affari Mario Carlo Ferrario. Quest’ultimo, contattato da FQ MillenniuM nel corso dell’inchiesta, non ha voluto rilasciare dichiarazioni, ma qualche giorno dopo ci ha fatto sapere, attraverso il suo staff, di essersi dimesso da numero due di Transparency Italia.

Proprio a spaccatura fra Savini e Ferrario, eletti nel 2020, ha provocato l’intervento di Transparency International, che ha sede a Berlino. La prima lettera è del 4 aprile 2022, a firma di Delia Ferreira Rubio, presidente di Transparency International, che esprime “preoccupazione” per le dispute interne che dilaniano i vertici italiani. “Stiamo considerando di chiedere all’International Board di votare l’immediata sospensione del vostro capitolo”, si legge nella lettera. Un provvedimento severo, che implica “la cessazione immediata dell’uso del nome e del logo di Transparency International”, avverte.

Successivamente lo scontro si aggrava. Ferrario, con altri sette fra consiglieri e soci di Transparency Italia, fa depositare al Tribunale civile di Milano due atti di citazione che denunciano presunte forzature della presidente sull’approvazione del nuovo Statuto e sulla gestione degli organi statutari, con una “logica epurativa”. Sulle citazioni, che FQ MillenniuM ha potuto esaminare, il giudice deve ancora pronunciarsi.

Così il 19 ottobre 2022 la stessa Rubio scrive una seconda lettera: “Il conflitto non solo è irrisolto, ma si è aggravato”, osserva. Questa volta c’è un ultimatum: se lo scontro non sarà risolto entro “la seconda settimana di novembre”, la sospensione sarà immediata. Anche questa decisione, a quanto ha riferito Transparency International a FQ MillenniuM, resta in sospeso perché è ancora in corso il processo di revisione dell’accreditamento del ramo italiano, una procedura che avviene ogni tre anni.

Contattata dal mensile, Iole Anna Savini si limita a dire che tutti questi nodi “sono stati già oggetto di puntuali determinazioni da parte degli organi dell’Associazione e saranno in futuro decise nelle sedi di competenza”.

Com’è possibile che un’associazione nata dalla società civile con l’obiettivo di combattere “dal basso” la corruzione, il malaffare e l’opacità nella politica e negli affari, sia diventata l’arena di un’estenuante lotta di potere, sotto gli occhi perplessi di chi negli anni ci ha messo il nome e la faccia in nome di ben altri ideali? A scanso di equivoci, il bilancio 2021 di Transparency Italia mostra ricavi per 456 mila euro, poca roba. C’è chi afferma che con la gestione Savini l’associazione si sia avvicinata al centrodestra, abbassando i toni sul malaffare e i rimedi per combatterlo. Anche l’indice sulla corruzione percepita, l’indicatore che ha reso famosa nel mondo Transparency International e la sua annuale classifica, è sotto attacco, sia dal punto di vista scientifico sia perché rischia di tenere lontani gli investitori dall’Italia, che in quella classifica comunque non brilla.

Essere al vertice di Transparency Italia porta con sé una fitta rete di rapporti di alto livello. Ci sono i convegni internazionali, i tavoli politici e istituzionali su norme e progetti anti-corruzione, il rapporto diretto con i grandi gruppi economici e finanziari. Accanto al tradizionale impegno sulle norme anticorruzione, come la campagna per una legge italiana sul whistleblowing, negli ultimi anni è cresciuta la collaborazione con i grandi gruppi economici. Il Business Integrity Forum è un programma avviato nel 2015 che ha l’obiettivo di stringere patti con le imprese private per stimolarle ad aumentare il loro livello di integrità e di trasparenza. Il tutto con un processo di verifica, controllo e formazione gestiti da Transparency. Gli ultimi ingressi nel Forum sono stati quelli di Atlantia, insieme alla controllata Aeroporti di Roma (2022) ed Enav (2021). Fra i grandi gruppi “certificati” figurano anche Enel, Snam, Edison, Tim, Ferrovie dello Stato.

Leggi l’inchiesta completa su FQ Millennium di Febbraio

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