Pena sospesa e nessun risarcimento da pagare per i sette attivisti ambientali accusati di danneggiamento grave, per aver rotto, ad aprile 2021, la vetrina della Barclays Bank a Londra. L’azione aveva causato danni per 100mila sterline. Il giudice Alexander Milne Kc ha considerato come attenuanti il fatto che gli imputati avessero “preso provvedimenti per assicurarsi che nessuno venisse ferito fisicamente durante la protesta”, oltre alle loro “convinzioni sinceramente sostenute” nel voler agire contro la crisi climatica. Il processo potrebbe rappresentare, dopo quello italiano al 20enne vogherese Simone Ficicchia, un precedente importante per il processo che dovranno affrontare i tre attivisti di Ultima Generazione per l’imbrattamento di Palazzo Madama dello scorso 2 gennaio.

“La vostra visione sulla crisi ecologica è supportata dalle prove portate dalla comunità scientifica, ma le vostre forti convinzioni vi hanno condotto a infrangere la legge”. Con queste parole sono state condannate per il reato di danneggiamento Zoe Cohen, 52 anni, Carol Wood, 53, Sophie Cowen, 31, Lucy Porter, 48, Gabriella Ditton, 28, Rosemary Webster, 64, e un’altra manifestante (che ha chiesto ai media di non essere nominata, per motivi legali). Le pene andavano dai sei agli otto mesi di reclusione, ma il giudice ha sospeso la pena per due anni, imponendo alle imputate solo il pagamento di 500 sterline di spese processuali. La sentenza è stata accolta con gioia da una folla di sostenitori che attendeva fuori dal palazzo di giustizia di Southwark. Le attiviste, il 7 aprile 2021, avevano attaccato con scalpelli e martelli l’esterno della sede di Barclays di Canary Wharf, a Londra. Durante la manifestazione avevano incollato adesivi con scritto “In caso di emergenza climatica rompi vetri” e indossato maglie con slogan come “Meglio una vetrina rotta che promesse non mantenute”. Il riferimento era agli impegni climatici della banca britannica, contraddetti dai finanziamenti destinati all’industria dei combustibili fossili, che ammontavano a 5,6 miliardi di dollari nel 2021, secondo l’ong Market Forces.

La banca ha chiesto un risarcimento per i danni. Tutte le imputate però si sono dichiarate non colpevoli e, a parte Wood e un’altra manifestante, hanno scelto tutte di rappresentarsi da sole. In particolare, hanno insistito sull’assenza di “prove di gravi disagi causati dall’azione di protesta” e sulle conseguenze che, a livello piscologico, l’udienza avrebbe avuto su di loro. Il punto cruciale della difesa è stata però la necessità urgente di attirare l’attenzione sulla crisi climatica e sulle sue cause. “Non mi sento una criminale. Voglio proteggere le generazioni future. Non mi definisco una contestatrice, mi definisco un difensore del clima” ha dichiarato Rosemary Webster, la più anziana delle imputate, durante la sua testimonianza. Ha detto alla corte: “Sono di origine ebraica. Oggi 27 gennaio – il giorno del processo – è il Giorno della Memoria dell’Olocausto. Posso immaginare come deve essere un adolescente oggi e sapere cosa lo aspetta” ha detto invece Zoe Cohen, proveniente da una famiglia ebrea sfuggita alle persecuzioni naziste.

Nelle sue osservazioni sulla condanna, il giudice Alexander Milne Kc ha contestato l’orgoglio delle attiviste per azioni “che anche se sono di violenza contro oggetti rimangono di violenza”. Il riferimento “alle convinzioni” sulla crisi climatica e la manifestazione sincera di preoccupazione per le sorti del pianeta è stata considerata una attenuante, come è successo anche in Italia durante il processo a Ficicchia. Milne ha anche paragonato le sette ambientaliste britanniche alle suffragette, aggiungendo però che “i voti per le donne non sono stati conquistati solo rompendo le finestre. Considero quello che avete fatto un’acrobazia, un espediente per attirare l’attenzione – ha poi ammonito le imputate – Rischiate di rendere impopolari la causa che volete sostenere con gesti come questo”.

Articolo Precedente

Città irrespirabili: è ora di prendere coscienza collettiva del problema

next
Articolo Successivo

“Uso ininterrotto di pesticidi sulle mele dell’Alto Adige”: il dossier dell’Istituto tedesco. I dati? Avuti grazie alla querela della Provincia

next