Come altro chiamare la proposta di legge numero 666 per l’istituzione di una “commissione parlamentare di inchiesta sulla violenza politica negli anni tra il 1970 e il 1989” se non una vigliaccata? Non solo perché sa di vendetta, e le commissioni parlamentari viaggiano (o dovrebbero) su altre onde. Ma perché esclude il ’69, la strage di Piazza Fontana, santodio.

L’ha presentata Fratelli d’Italia alla Camera, primo firmatario il vice presidente di Montecitorio, Fabio Rampelli, fondatore del partito di Meloni e suo mentore nel Fronte della gioventù, oggi impegnato a costruire la Destra nazionale (cioè la vecchia destra corporativista e autoritaria nel tempo corrente). Dunque i camerati vogliono far partire la loro indagine dal ’70: nulla può dissuaderci dal pensare che la scelta delle date nasconda il sottile piacere di lasciar fuori dai radar le bombe del 12 dicembre.

Forse gli estensori della legge hanno pensato che già si sa tutto: in effetti sappiamo che fu una strage neofascista firmata da Ordine nuovo che ha potuto godere delle coperture dei Servizi di Stato: non verrebbe facile incasellarla nella violenza politica di cui si vuole ricercare non si sa bene cosa. Nel testo della proposta si parla di “violenza politica tra il 1970 e il 1989” e di “crimini insoluti”, senza menzionare (ovviamente) alcuna matrice politica. Ma nella relazione che accompagna la proposta di legge si fa riferimento solo ai casi di omicidi nei quali sono rimaste vittime militanti di destra, come Sergio Rampelli (su cui peraltro un processo a Milano inchiodò i responsabili) o i fatti di Acca Larentia. Niente più.

È chiaro l’intento della Destra di rifarsi i connotati, di ricostruire una sua narrazione che escluda tutto ciò che non può essere digerito dalla media borghesia; ma la matrice neofascista delle stragi e l’uso dilagante della violenza sono scritti nero su bianco in un dossier del Sisde dell’agosto 1982 (appena post P2, sarà stato l’effetto di una catarsi). Le cifre riferiscono di 577 feriti e 176 morti dovuti ad atti di violenza dei gruppi di destra avvenuti tra il 1969 e il 1982. Giorgio Almirante, capo dell’Msi, distinto e in doppio petto, accoglieva sotto il suo generoso abbraccio diversi esponente di quella marea nera di cui Fratelli d’Italia oggi vorrebbe saperne di più: o forse l’obiettivo taciuto è diverso?

Non sappiamo. Il rapporto appena citato dice questo sul fenomeno del terrorismo nero: “da quasi tre lustri ormai insanguina il paese con azioni di efferatezza e di una insensibilità verso i più elementari valori umani quali difficilmente si possono riscontrare nel modus operandi dei gruppi terroristici di estrema sinistra”. Se ne può discutere da varie angolazioni ma per comprendere il senso dell’operazione dei Fratelli d’Italia basta l’esclusione di quella data: il 12 dicembre 1969. È lì che entra in scena lo stragismo di stampo neofascista, è da lì che parte l’ondata di terrore che devasta l’Italia e che Rampelli e camerati forse vorrebbero spalmare un po’ su tutti. Ma Ordine Nuovo di Rauti e Freda, di Signorelli e Fachini non era un gruppo un po’ violento. Firmò le stragi, lo dicono le sentenze.

Lo stragismo fu un metodo per spostare su un piano paramilitare il conflitto sociale, una questiona complicata. Mentre qui c’è aria di ritorno agli opposti estremismi, tutti nella stessa pentola…

Ancora sul dossier del Sisde: c’è un buco grande. Nell’elenco degli episodi di violenza della destra non c’è la terribile vicenda del Circeo, 1975. Due giovani donne che forse l’Italia sta dimenticando (in questi giorni invero ricordate ne La scuola cattolica diffuso da Netflix, film tratto dalla autobiografia di Edoardo Albinati) vennero massacrate da tre giovani neofascisti della Roma bene. Sono Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. Rosaria finì lì i suoi giorni, Donatella visse nell’incubo fino ai suoi 47 anni, poi cedette al cancro. La Commissione dei Fratelli d’Italia potrebbe cominciare da lì per capire la violenza politica.

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