Capriola dopo capriola, scivolone dopo scivolone, intorno al ministro della Giustizia Carlo Nordio ora sembra costituirsi una specie di cordone di sicurezza. Le uscite del guardasigilli sulle intercettazioni – iniziate con l’ormai celebre “i mafiosi non parlano al telefono” – hanno avuto lo strano risultato di esaltare un pezzo minoritario della maggioranza (cioè Forza Italia) e conquistare il cuore del polo renzian-calendiano, ma di irrigidire il resto del centrodestra, cioè la Lega e soprattutto Fratelli d’Italia che non è solo il partito che incidentalmente esprime la presidente del Consiglio, ma è anche il partito che ha candidato e fatto eleggere lo stesso ministro.

E così da una settimana lo spartito sulla giustizia del governo sembrava scritto da Johann Sebastian Bach: c’era Nordio che parlava e sotto partiva il contrappunto di qualcun altro. In particolare del sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, avvocato, piemontese di Biella, che si è fatto le ossa nella scorsa legislatura in commissione Giustizia. Così il concetto delle intercettazioni “troppe e costose” espresso da Nordio in commissione si è ridotto ora a una battaglia contro gli “abusi”, nel senso della loro pubblicazione sui giornali, sebbene esista già una regolamentazione piuttosto severa prevista da una legge molto recente (2020). Insomma ora tutto si riduce a questo: “Bisogna intervenire – spiega Delmastro ad Agorà, su Rai3 – da una parte con l’Ispettorato generale per verificare che non vi siano fuoriuscite di notizie dalle Procure stesse, dall’altra parte con una norma più stringente. E poi lo dico onestamente, sì, anche sui giornali”. Nel senso: “Sono allo studio proprio perché ci rendiamo conto che bisogna agire con la massima prudenza rispetto ad un diritto che è il diritto di cronaca”. E’ lo stesso Delmastro che negli ultimi due, tre, quattro giorni ha ribadito a più riprese che non c’è nessun obiettivo di ridurre le intercettazioni o toglierle per alcuni reati – altro che “troppe e costose”. Oggi, in un’intervista al Corriere della Sera, ha perfino fatto una lista dei cosiddetti “reati satellite” della mafia di cui ha parlato ieri Nordio dopo l’ennesima retromarcia. Nell’elenco di Delmastro ci sono la corruzione, la concussione (e fin qui non c’è niente da stupirsi) e perfino il peculato.

Ma oltre al merito c’è anche la forma, e forse soprattutto la forma, cioè il modo in cui il ministro della Giustizia è riuscito a inanellare una ragguardevole serie di colpi a vuoto. L’ultimo, di un certo peso, è stato sparato ieri quando, per rispondere ai magistrati antimafia che avvertivano sulla centralità delle intercettazioni nelle loro inchieste, ha pensato bene di additarli un po’ come dei paranoici che “vedono la mafia dappertutto”, frase rivolta peraltro a Federico Cafiero De Raho. “Questo Parlamento non deve essere supino e acquiescente alle loro affermazioni” ha aggiunto Nordio suscitando la reazione di Giuseppe Conte che gli ha risposto più o meno che i deputati e i senatori sono grandi e vaccinati.

E ha provocato qualche pensiero anche a Palazzo Chigi, come raccontano pezzi di retroscena del Fatto Quotidiano, oltre che di Repubblica sia della Stampa. Perché va bene tutto ma aprire un fronte con i magistrati, per giunta quelli che combattono contro la mafia, anche no grazie. E’ vissuta come una polemica d’antan e infatti dopo le dichiarazioni di Nordio i più contenti erano stati i berlusconiani (“E’ un gigante” lo celebrava ieri la sottosegretaria Matilde Siracusano). E’ chiaro che è difficile andare da Nordio e dire di decelerare. Tanto più che la sua nomina nasce da un’autorevolezza, all’interno del centrodestra, nutrita nel corso dei decenni e a livello trasversale tra tutte le forze politiche, tutti i giornali e tutte le tv (peraltro possedute da Silvio Berlusconi) di quell’area politica. Sul Fatto di oggi si racconta che la presidente Giorgia Meloni non ha per niente apprezzato certe uscite. Ieri, oltretutto, con un intervento “sgrammaticato” su un processo ancora in corso (il processo Trattativa in cui è coinvolto il generale Mario Mori è in attesa della pronuncia della Cassazione).

Su Repubblica si registrano le vive voci dei parlamentari di Fratelli d’Italia, pur anonime (e finora non smentite): “Com’è possibile aver fatto questo capolavoro, cioè inimicarsi il fronte antimafia nella settimana in cui la giustizia in Italia scrive una pagina storica?” si chiede un senatore meloniano, riferendosi ovviamente all’arresto del boss Matteo Messina Denaro, latitante da trent’anni. La cosa dei mafiosi che non telefonano è definita una “scivolata mostruosa”. “Alcune cose le dice male, con la spada. Altre non sono completamente in linea”, si aggiunge. “Che bisogno c’era di svegliare il can che dorme, noi, adesso? – dice un altro parlamentare – sempre a Repubblica – Una parte dei magistrati, seri, sono alla finestra a capire quale idea abbiamo: magari persino disposti a considerare che la nostra politica giudiziaria non è vetero-berlusconismo. E invece bum: gli facciamo ‘sto regalo”.