La lenta virata del governo sulle intercettazioni è quasi compiuta. Piano piano, progressivamente, la “rivoluzione copernicana” sembra trasformarsi: il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva detto che ce n’erano “troppe inutili e costose“, ma oggi in Senato ha spiegato che “non si è mai inteso toccare le intercettazioni che riguardano il terrorismo, la mafia e ovviamente quei reati che sono satelliti di questi fenomeni perniciosi” (e di solito tra questi c’è per esempio la corruzione). E il fascio di luce più luminoso su cosa (non) accadrà lo proiettano le parole del sottosegretario di Nordio, Andrea Delmastro Delle Vedove, voce autorevole di Fratelli d’Italia in materia di giustizia, pronunciate davanti alle telecamere de ilfattoquotidiano.it: “Non c’è nessuna revisione della spesa, c’è una razionalizzazione della spesa ai sensi di un decreto ministeriale del 2017 e noi ci attendiamo di non avere un numero inferiore di intercettazioni”. Cioè le cose non cambieranno rispetto a oggi?, chiede il cronista. E l’esponente di Fratelli d’Italia risponde per 8-9 volte no.

Su questo, dunque, si conferma l’asse formato da Lega e Fratelli d’Italia che mettono in minoranza le spinte di Forza Italia. Ieri erano stati il coordinatore del partito meloniano Giovanni Donzelli e la presidente della commissione Giustizia del Senato, Giulia Bongiorno, a tirare una prima volta il freno a mano. “Sono fondamentali anche per la corruzione, che non è un reato minore” aveva detto l’esponente leghista.

E allora cosa rimane della “rivoluzione” di Nordio? Per ora poco, la riforma di cui ha parlato il ministro potrà essere posticipata a chissà quando. Nel frattempo sul tavolo resta solo la questione, su cui si è molto soffermato oggi il ministro guardasigilli nel suo intervento al Senato, della pubblicazione delle intercettazioni sui giornali. Che, però, già oggi è vietata per effetto della riforma Orlando. Gira e rigira perfino Forza Italia sembra battere in ritirata e riallinearsi: “Il tema non è tanto se permetterle per indagare su certi reati e vietarle per altri – dice Flavio Tosi – ma gli abusi della loro diffusione ai mass media, con i fascicoli che escono illegalmente da certe procure e finiscono solo per infangare cittadini che spesso non sono nemmeno sotto inchiesta. Andrebbero pubblicate solo le intercettazioni rese note durante il processo, mai quelle fuori dal dibattimento e men che meno quelle che non hanno rilevanza penale. Va scritta una norma in tal senso e vanno presi provvedimenti contro chi trafuga e diffonde illegalmente gli atti”. “Il ministro ha ribadito la necessità di limitare gli abusi che troppo spesso sfregiano la privacy e la libertà anche di cittadini che non risultano nemmeno indagati” ribadisce Matilde Siracusano, sottosegretaria ai Rapporti col Parlamento. “Quello che Forza Italia dice da sempre – sostiene Licia Ronzulli, capogruppo al Senato – è che il problema sono gli abusi e, ovviamente, la pubblicazione delle intercettazioni di persone che non hanno nulla a che fare con le indagini. Noi pensiamo che questa sia una barbarie che deve finire perché ha rovinato la vita sociale e politica di troppe persone”.

La questione della “troppa spesa”, insomma, sembra improvvisamente scomparsa. Già che ci siamo, va ricordata la mancata applicazione di una legge che c’è già, anche questa introdotta durante il ministero di Orlando e poi messa in pratica dal successore Alfonso Bonafede con uno schema di decreto legislativo. Il provvedimento è stato però accantonato dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia ed è rimasto lettera morta. L’effetto è che ad oggi non c’è un controllo sulle tariffe e sulle società a cui viene affidato il servizio di intercettazione e così si viene a creare “una differenza abnorme nei costi, con Procure che spendono mille e altre che spendono cento. Quella legge di 5 anni fa fissava le tariffe (“in misura non superiore al costo medio, come rilevato nel biennio precedente”, tra i cinque distretti giudiziari con il maggiore indice di spesa). Lo schema di decreto aveva ricevuto parere favorevole dalle commissioni Giustizia di entrambi i rami del Parlamento, ma non è mai stato trasformato in legge per volontà del governo Draghi.

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