L’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, oggi deputato M5s, ha una visione “pan-mafiosa” per la quale “siamo di fronte a una mafia che si è infiltrata dappertutto”. E in generale i pm antimafia che in questi giorni, uno dopo l’altro, senza distinzioni, stanno avvertendo il governo che le intercettazioni sono fondamentali per le inchieste sulla criminalità organizzata, hanno “una visione estremamente severa di questi problemi. Ma l’Italia non è fatta di pm e questo Parlamento non deve essere supino e acquiescente a quelle posizioni”. Se nella relazione del ministro della Giustizia Carlo Nordio c’è davvero una lista di provvedimenti per accelerare davvero i processi (e senza effetti collaterali deleteri), per una volta di più viene oscurata dalle uscite sbilenche del Guardasigilli. Nell’intervento alla Camera, dove ha presentato la relazione sulle sue linee programmatiche, il ministro ha dedicato i passaggi più significativi a rispondere alle polemiche sul rischio di indebolimento degli strumenti investigativi specie se si vuole limitare le intercettazioni. Nordio, con abilità da acrobata, è alla terza capriola sul tema.

In un primo momento aveva detto, come noto, che “i mafiosi non parlano al telefono” e gli è stato fatto notare che di telefonate di mafiosi sono pieni i processi con tanto di beffardo tempismo della cattura di Matteo Messina Denaro che aveva due telefoni addosso e altri nel suo covo. A quel punto Nordio (ieri) si è un po’ corretto spiegando che intendeva dire che non è al telefono che i mafiosi parlano di reati. E questa piccola rassegna de ilfattoquotidiano.it ancora una volta sembra dimostrare che la realtà, tignosa, ce l’ha con lui. Oggi, come ultimo tentativo, è arrivato a descrivere i magistrati antimafia – racchiudendoli in un’unica categoria – sono un po’ paranoici e vedono la mafia da tutte le parti, “una visione estremamente severa” per dirla con le sue parole. “E’ normale – ha detto il guardasigilli nell’Aula di Montecitorio – che ci siano colleghi che avendo sempre fatto i pm antimafia abbiano una visione estremamente severa di questi problemi. Ma l’Italia non è fatta di pm e questo parlamento non deve essere supino e acquiescente a quelle che sono le posizioni dei pm”. Una dichiarazione che suona come una replica a Roberto Scarpinato, che oggi fa il senatore dei 5 Stelle ma ha un curriculum lungo così nel campo della lotta alla mafia, da ultimo come procuratore generale della Corte d’appello di Palermo. Scarpinato ieri aveva parlato di “garantismo classista” (perché protegge i forti e non i deboli): “Il linguaggio usato da Nordio è quello di un estremista politico che supplisce alla mancanza di argomenti, utilizzando il suo scranno per screditare le istituzioni, additando alla pubblica opinione le forze di polizia e la magistratura come poteri deviati che hanno sistematicamente abusato dei loro poteri”.

E oggi alla Camera si è alzato anche Cafiero De Raho, che di lavoro ha fatto nell’ordine il procuratore aggiunto a Napoli, il procuratore capo a Reggio Calabria e il procuratore nazionale antimafia. I toni di Cafiero sono anche meno aspri di quelli di Scarpinato, anche se anche lui avverte il governo sui rischi che possono portare eventuali riduzioni di margine d’azione all’uso delle intercettazioni, anche per scoprire i legami della criminalità organizzata con il resto del tessuto sociale, politica compresa. Eppure la risposta di Nordio riesce a ribaltare il ragionamento così: “Sentendo il vostro intervento sembra che la mafia sia annidata nello Stato in tutte le sue articolazioni”. “Se questo è vero significa che in questi ultimi 30 anni la lotta alla mafia è fallita. Se siamo di fronte a una mafia che si è infiltrata dappertutto, allora la domanda è questa: dov’era l’Antimafia se siamo arrivati a questo risultato? Il fatto è che non credo che affatto che l’Antimafia abbia lavorato male , al contrario credo che l’Italia non sia così infiltrata da articolazioni mafiose che si sono insediate nei meandri più intimi della nostra vita individuale”. Insomma: Cafiero de Raho, “avendo fatto, e molto bene, il procuratore antimafia ha una visione pan mafiosa”. In questi giorni a parlare di “borghesia mafiosa” era stato il procuratore capo di Palermo, che ha condotto le indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro, Maurizio De Lucia.

E’ su questo che in Aula gli risponde il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte: “Lei ha provato a correggere il tiro, precisando che le intercettazioni sono assolutamente indispensabili nella lotta alla mafia e al terrorismo. Però, questa precisazione dimostra una deficitaria comprensione del fenomeno mafioso oltre che dubbia consapevolezza politica e culturale”. “Gli addetti ai lavori – aggiunge – chi combatte la mafia da una vita, ci spiegano che le infiltrazioni mafiose sono pervasive. Diventa così assolutamente fondamentale utilizzare tutti gli strumenti, comprese le intercettazioni. Signor ministro, lei è in una posizione in cui non può cambiare idea ogni giorno. Siamo d’accordo sulle intercettazioni per tutti i reati o no?“. Quella di Nordio, aggiunge a RaiNews24 l’ex ministro Andrea Orlando per il Pd, “è stata una relazione sui generis perché la legge dice che bisognerebbe tenere al Parlamento una relazione sulla giustizia. Abbiamo ascoltato invece alcune valutazioni del ministro molto settoriali come ad esempio sul tema delle intercettazioni. Non sono emersi invece gli orientamenti che si vogliono seguire”.

Nordio giura che che non ha “mai inteso toccare minimamente le intercettazioni che riguardano terrorismo e mafia e quei reati che sono satelliti nei confronti di questi fenomeni perniciosi“. Il ministro insiste nel dire che gli abusi si annidano nelle intercettazioni giudiziarie, quelle effettuate su richiesta del pm e autorizzazione del gip. Perché, ha spiegato, per i vari passaggi previsti dalla legge “finiscono a conoscenza di decine di persone”. “L’abuso su cui vogliamo intervenire è in questo mare magnum”, che fa finire sui giornali “notizie che diffamano e vulnerano l’onore di privati cittadini”. “L’articolo 15 della nostra Costituzione dice chiaro e tondo che la segretezza delle comunicazioni è inviolabile, può essere eccezionalmente limitata dall’autorità giudiziaria, ma questa è l’eccezione. In Italia abbiamo avuto spesso l’impressione che la regola fosse quella di lasciare pubblicare tutto anche attraverso i brogliacci della polizia giudiziaria che l’esperienza giudiziaria ci dimostra essere molto spesso inaffidabili, ma non per cattiveria e malafede di chi li trascrive. Semplicemente perché nella trascrizione di queste intercettazioni che molto spesso sono di difficilissima captazione, l’errore è spesso in agguato”. “La segretezza delle informazioni – ha detto ancora Nordio – è l’ altra faccia della nostra libertà. Pascal diceva che se tutti sapessero quello che diciamo degli altri non avremmo un amico. Ed è vero che la voce dal sen fuggita che noi usiamo ogni giorno, magari condita di imprecazioni e di bestemmie, letta nei brogliacci della polizia, dà un’impressione alterata e ha una negatività icastica, che è irrimediabile ed e qui che bisogna intervenire”.

Su questo, per il ministro, la riforma Orlando ha fallito. E la prova – sostiene – starebbe nella pubblicazione – la settimana scorsa – di intercettazioni in cui si sente parlare il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Vale la pena di ricordare che anche in questo caso si trattava di telefonate – diffuse di recente da Report – in cui il governatore veneto parlava del microbiologo Andrea Crisanti. E l’inchiesta riguardava un esposto dello stesso Crisanti sui test rapidi perché il Veneto era capofila di una maxi-commessa da 140 milioni di euro e che Crisanti criticava nella loro efficacia. In quelle conversazioni diffuse da Rai3 Zaia diceva per esempio: “È un anno che prendiamo la mira a questo (riferito a Crisanti, ndr). Sono qua a rompermi i coglioni da 16 mesi, stiamo per portarlo allo schianto, adesso questo qua fa il salvatore della patria e io faccio la parte del mona cattivo”. Non era Zaia ad essere intercettato, ma Roberto Toniolo, direttore di Azienda Zero, braccio operativo sanitario della Regione, per un’altra inchiesta (sugli appalti dei pasti negli ospedali). Ed è complicato dire che frasi come quelle pronunciate dal governatore non fossero coerenti col merito di un’inchiesta partita dagli studi e dalle segnalazioni di Crisanti.

Nella sua relazione Nordio è riuscito a non risparmiare nemmeno la carta del nome del generale Mario Mori, ex comandante dei Ros, la cui storia per il ministro è da portare ad esempio come caso di “errore giudiziario“: “La carriera è stata rovinata senza che nessuno abbia risarcito il danno” dice. “Vorrei che quando si devono tributare ossequi al Ros ci si ricordasse di tutte le vittime fatte nel loro ambito – aggiunge – Vi pare che sia giustizia? Che sia civile che lo Stato metta sotto processo i suoi più fedeli servitori che vengono eliminati e estromessi dalle cariche più importanti?”. Il riferimento a Mori riguarda la sua assoluzione al termine del processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia perché il fatto non costituisce reato. I giudici hanno confermato che Mori e gli altri ufficiali dei carabinieri aprirono un “canale di comunicazione” con Cosa nostra e che si trattò solo di una “improvvida iniziativa” portata avanti per “fini solidaristici” ovvero “la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato“. In pratica parlarono coi mafiosi, ma per far cessare le stragi. Secondo la Corte d’appello non ci fu coinvolgimenti o avalli politici ma fu “una spregiudicata iniziativa di polizia giudiziaria” che assunse “la connotazione di un’operazione di intelligence“.

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