Un elemento spesso trascurato nel dibattito relativo alle conseguenze dei cambiamenti climatici è l’impatto che questi hanno sullo status quo della società. Diversi studi hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione diretta tra clima e struttura della società. Il professor Philipp Blom, ad esempio, ha spiegato nel suo libro Nature’s Mutiny come l’ultima parte della cosiddetta piccola era glaciale (1300 – 1850), quella che inizia alla fine del sedicesimo secolo, abbia contribuito alla nascita di fenomeni fondamentali per l’emergere della società moderna, dall’illuminismo alla Rivoluzione francese. Nessuna regione del mondo ne è uscita illesa. Ad esempio, il gelo produsse carestie nei raccolti in Cina, che a loro volte causarono violente rivolte contadine contro la dinastia Ming crollata a metà del diciassettesimo secolo.

Secondo Blom l’impatto più marcato del raffreddamento della terra in Europa è stato quello sull’agricoltura. Il gelo interruppe la produzione dei raccolti, in particolare quella del grano. La piccola era glaciale innescò una crisi agricola a lunghissimo termine in tutto il continente, tanto che i raccolti di grano non tornarono ai livelli precedenti alla fine del 1570 per centottanta anni. Ciò ha modificato il funzionamento della società che fino ad allora era in gran parte organizzata secondo linee feudali. La maggior parte della popolazione era costituita da contadini che vivevano su terreni di proprietà di una classe superiore di signori. Il cambiamento del clima ha frantumato questo equilibrio secolare. Panico e rivolte popolari per il cibo disintegrarono il sistema feudale e prolungate carestie legate al clima trasformarono il commercio in una componente fondamentale dell’equilibrio societario. E così nacque la classe dei mercanti e la nascita delle grandi città mercantili come Amsterdam.

Non esistono esempio storici sulle conseguenze dei cambiamenti climatici legati al surriscaldamento della terra sulla struttura delle nostre società. E’ però interessante notare che gli studiosi concordano che la causa principale della rottura degli equilibri societari durante la piccola era glaciale non è attribuibile alla caduta del termometro, ma all’instabilità climatica che questa ha comportato. In altre parole, la società è in grado di adattarsi a climi più gelidi e, possibilmente, più caldi, ma non può adattarsi a climi imprevedibili. Specialmente nell’ultima fase, la piccola era glaciale, infatti, produsse fenomeni climatici fortemente erratici. Nel 1666, ad esempio, gran parte della città di Londra bruciò dopo un’estate eccezionalmente secca e calda. Come per la piccola era glaciale, l’attuale surriscaldamento della terra è caratterizzato da eventi climatici eccezionali e incostanti.

Volendo tracciare un ipotetico parallelo tra i grandi rivolgimenti causati dalla piccola era glaciale e il disordine mondiale odierno, si potrebbe azzardare l’ipotesi che l’instabilità climatica fomenta quella societaria. E’ naturalmente presto e prematuro trarre delle conclusioni, ma non è detto che tra un secolo gli storici alla ricerca di fenomeni fanno presagire la rottura degli equilibri politici democratici esistenti, come l’assalto al campidoglio americano e quello contro il governo di Lula, o l’erosione di sistemi non democratici come le rivolte in Iran e in Cina contro la politica anti-Covid perseguita dal partito comunista per quasi tre anni.

Definiranno questi eventi come sintomi di un malessere globale legato all’instabilità planetaria dei cambiamenti climatici. La difesa di un clima stabile e prevedibile, dove le stagioni si alternano nell’arco dell’anno e non nello spazio di qualche giorno, diventa così una forma di difesa dello status quo. Per le democrazie perdere questa battaglia sarebbe davvero disastroso.

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