Il dibattito odierno sulla montagna senza neve e la crisi degli sport invernali è per certi aspetti surreale. Sembra che ci sia accorti dei cambiamenti climatici solo qualche giorno fa, dopo aver gioito per i bagni di mare fatti in ottobre e per la mitezza dell’inverno, senza riflettere sulla portata e sull’origine di queste anomalie climatiche. Ma lo sconcerto aumenta ancora di fronte alle soluzioni proposte: spariamo coi cannoni neve artificiale in grado di resistere, senza sciogliersi, anche a temperature di quindici gradi, ed è fatta!

Saranno pure high-tech questi cannoni sparaneve, ma perseverare è diabolico: non serve continuare a fare le stesse cose solo con nuovi strumenti ancora più invasivi per consumo di acqua e per gli additivi che vengono impiegati. Per non parlare del consumo di energia: nessuno che parli di coprirli – almeno questo! – con fonti rinnovabili. Così possiamo solo aumentarli i danni all’ambiente. Vogliamo trasformare le stazioni dell’Appennino in tante piccole Dubai, città nota per la insensata pista innevata artificialmente, conservata sotto vetro, autentico monumento allo spreco? Ma potrei citare anche, guardando in casa nostra, il progetto, non meno insensato, dello skidome in costruzione a Selvino (BG).

Non nego i problemi che ci sono oggi a far quadrare i conti delle attività basate sulla monocultura del turismo invernale basato sullo sci. Conti che pesano anche a sfavore dei posti di lavoro. Non di meno, è ora di ragionare davvero di adattamento, anche dell’economia, ai cambiamenti climatici, altrimenti questi problemi, che non si risolvono con la rincorsa a impianti sempre più high-tech, si ripresenteranno sotto altra forma. Ecologia è economia capace di futuro. Se alle 8 di mattina ci sono 7 gradi a quota 2.000 metri sulle Dolomiti e se lo zero termico si registra sempre di più a quote superiori ai 2.500 metri e per sempre meno ore durante il giorno e per meno giorni durante l’anno, dobbiamo agire di conseguenza, e non nascondere la testa sotto la sabbia del negazionismo dei cambiamenti climatici. La carenza di neve in montagna, le temperature anomale registrate in tutto il mondo e il 2022 anno più caldo di sempre devono essere l’occasione per una profonda riflessione sui cambiamenti climatici e sulla necessità di accelerare la transizione ecologica ed energetica, cogliendo le opportunità della nuova fase. Anche quelle della diversificazione e della destagionalizzazione del turismo di montagna.

Prendere atto che i ritardi accumulati dalle insufficienti politiche di mitigazione hanno innescato i cambiamenti climatici ad una velocità che potrebbe portarli fuori controllo a fine 2030, vuol dire, nel caso della montagna, sfruttarne potenzialità sacrificate sull’altare dello sci, e renderla attrattiva a 360 gradi 365 giorni all’anno. Come? Puntando su cicloturismo, con la realizzazione di piste e percorsi ciclabili; lanciando le settimane verdi alla scoperta dei parchi naturali; puntare sul turismo estivo di prossimità della terza e quarta età in fuga dalle ondate di calore delle città, a distanza di sicurezza dai familiari di riferimento; attrezzando con adeguate strutture ricettive la rete dei cammini, di origine e valenza religiosa e di grande bellezza naturalistica.

Anche in Italia abbiamo i nostri cammini in stile Santiago De Compostela; e l’Appennino emiliano-romagnolo, che ne è attraversato, è al contempo il territorio più ricco di biodiversità della regione, oltre ad essere custode di borghi di straordinario valore storico- architettonico. Penso a Lustrola, ad esempio, un bellissimo agglomerato di case di pietra in una conca verde dell’Appennino Tosco-Emiliano, un gioiello con oltre mille anni di storia portati splendidamente. Gioielli che, come Lustrola, si trovano su tutto l’Appennino. Facciamo conoscere questi territori coinvolgendo le scuole, frequentate dai potenziali turisti di domani. E dai possibili nuovi residenti.

Turismo slow, quindi, ma anche investimenti per rendere più agevole la vita di chi in montagna ci abita o vorrebbe andarci ad abitare per sottrarsi all’inquinamento e al caldo delle città: banda larga, trasporto pubblico anche nelle ore serali e notturne per favorire l’insediamento di studenti e lavoratori, assistenza sanitaria sul territorio, tutela del commercio di prossimità e promozione dei distretti del biologico per un’agricoltura e una trasformazione di prodotti alimentari di qualità. Di questo c’è bisogno.

In diverse occasioni, nell’ambito della mia attività istituzionale come vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna e Capogruppo di Europa Verde, mi sono occupata dell’adattamento ai cambiamenti climatici e anche del contrasto a progetti deturpanti sulla montagna bolognese. Per chi volesse approfondire l’aspetto specifico della carenza di neve in montagna consiglio la lettura del Report “Neve diversa” di Legambiente, dedicato alle sofferenze dello sci alpino e alle buone pratiche di riconversione alla luce dei cambiamenti climatici.

C’è chi ai cannoni sparaneve ha preferito valorizzare le bellezze locali. Come i comuni di Etroubles, Saint-Oyen e Saint-Rhémy-en-Bosses, nella valle del Gran San Bernardo, che hanno scelto di non rinnovare gli impianti di risalita a bassa quota per puntare su un’offerta turistica centrata sul binomio natura e cultura. Sono questi gli esempi da seguire. Lo Skydome lasciamolo a Selvino. A Lustrola e sul Corno alle Scale, oltre che insensato, sarebbe un atto di pura violenza e oltraggio al paesaggio.

Articolo Precedente

L’anno nero dell’energia /2 – Sul gas paghiamo il prezzo di non aver investito in transizione verde

next
Articolo Successivo

Rinnovabili, al Sud è in atto una metamorfosi: distese di pannelli solari ed enormi pale rotanti

next