Il governo Meloni fa una clamorosa marcia indietro sulla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. L’Italia è rimasta l’unico Paese dell’area euro a non aver reso operativo l’accordo firmato il 27 gennaio 2021. Un mese fa il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a margine dell’Eurogruppo, aveva spiegato di essere “sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte”, cioè di avere intenzione di aspettare le decisioni della Corte costituzionale tedesca riguardo al ricorso presentato da alcuni deputati Fdp. Una linea attendista sottoscritta poi in un atto di indirizzo della maggioranza approvato dalla Camera. Cinque giorni fa, però, la Consulta tedesca ha spianato la strada alla ratifica. Giorgetti però ha cambiato idea: durante il question time alla Camera ha detto che l’intenzione è quella di frenare ancora.

“Siamo coscienti dell’impegno assunto dall’Italia e che allo stato tutti gli altri Aderenti abbiano proceduto alla ratifica”, è il cuore della sua risposta all’interrogazione di Luigi Marattin (Iv), “ma alla luce dei dati fattuali prima ricordati (le condizionalità da rispettare per ottenere l’assistenza finanziaria del fondo, ndr) emerge con chiarezza la necessità che la decisione di procedere o meno alla ratifica del Trattato sia preceduta da un adeguato e ampio dibattito in Parlamento“. Dibattito che però c’è già stato, con tanto di voto a maggioranza in entrambe le Camere esattamente due anni fa dopo oltre un anno di discussioni.

Poco c’entra il fatto che, come ricordato da Giorgetti, “come da più parti evidenziato (qui il ministro leghista cita un articolo di Federico Fubini uscito sul Corriere proprio nel dicembre 2020 ndr) il Mes “appare una istituzione in crisi e per il momento in cerca di una vocazione. In parte per colpa sua, in parte no, è un’istituzione impopolare. Nessuno fra i Paesi europei ha voluto chiedere la sua linea di credito sanitaria””. Quindi? “L’impianto attuale del Trattato istitutivo del MES appare non tenere conto del diverso contesto di riferimento e appare opportuno che, a monte, siano valutate modifiche relative al contenuto del Meccanismo. A titolo esemplificativo, il MES da strumento per la protezione dalle crisi del debito sovrano e delle crisi bancarie, deve trasformarsi, a nostro avviso, in un volano per il finanziamento degli investimenti e per il sostegno per affrontare sfide come quella del caro energia e della crisi internazionale connessa alle vicende ucraine, rivedendo le condizionalità attualmente previste ovvero le modalità di utilizzo delle risorse”.

Posizioni non diverse da quelle del governo Conte che era in carica quando si discusse la riforma. Ma quasi due anni fa, dopo un lungo negoziato in cui l’ex ministro Roberto Gualtieri rivendicò di aver ottenuto importanti risultati, l’accordo è stato firmato dai 19 Paesi aderenti all’euro e sembra improbabile il ripensamento che il governo auspica. Si vedrà se davvero, come crede Giorgetti, “un proficuo confronto potrà essere instaurato anche con il nuovo direttore generale del MES Pierre Gramegna, nominato recentemente anche grazie alla all’attivo contributo del nostro Paese”.

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