La riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è stata firmata dai rappresentanti permanenti degli Stati Ue. Ora la palla passa ai parlamenti dei singoli stati che dovranno ratificare la decisione. Il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe, ha ricordato che con la riforma entrerà in vigore dal 2022 il paracadute (o backstop) per il fondo salva-banche, due anni prima del previsto. La riforma poi “amplia il mandato del Mes, che avrà linee di credito precauzionali più accessibili, e un ruolo più forte nei programmi di assistenza finanziaria e nella prevenzione delle crisi”, scrive il Consiglio. E’ bene precisare che la riforma c’entra poco nulla con la questione dei prestiti per l’emergenza sanitaria. Questa infatti è una prerogativa che è stata attribuita al Mes solo a causa dell’emergenza pandemica. In realtà il fono nasce ed opera dal 2012 con altri scopi. Principalmente quello di prestare soldi ai paesi europei che faticano ad accedere ai mercati perché dovrebbero pagare interessi troppo alti.

Per farlo si interpone tra lo Stato e i mercati. In sostanza il Mes raccogliere direttamente finanziamenti sui mercati e poi “gira” i soldi al paese richiedente. Poiché ha alle sue spalle le garanzie di tutti gli stati membri dell’euro (possono arrivare fino a 700 miliardi di euro) la sua affidabilità è maggiore rispetto a quella di un singolo stato specie se in difficoltà. Quindi gli investitori sono disposti a prestare il loro denaro in cambio di interessi più bassi. La funzione è insomma un po’ quella di uno scudo. Il problema è che quando un paese bussa alla porta del Mes, viene accolto solo se accetta delle condizioni. In sostanza se presta i soldi, il fondo può mettere bocca nelle politiche economiche del paese richiedente, pretendere riforme o tagli alle spese. Le poche volte che è stato usato, dalla Grecia, dal Portogallo o dalla Spagna, il Meccanismo europeo di stabilità non si è guadagnato una buona reputazione. Forse era inevitabile ma sta di fatto che questi precedenti hanno reso politicamente “tossici” i suoi finanziamenti.

Cosa prevede questa riforma e perché è contestata in alcuni suoi punti? Un primo elemento di novità è la possibilità di mobilitare i fondi del Mes anche a sostegno al sistema bancario. In particolare per far fronte ad improvvisi aumenti delle esigenze di liquidità di una o più banche. Quando le condizioni di mercato peggiorano una banca può incontrare problemi nel disporre di tutti i soldi liquidi di cui ha bisogno per il suo normale funzionamento. Questo non significa che la banca sia fallita, i problemi possono nascere dal fatto che in quel preciso momento fatica a vendere asset in suo possesso e a reperire così denaro liquido. Ma come recita un adagio finanziario…“liquidity kills fast”, la carenza di liquidità può uccidere rapidamente. Il nuovo Mes dovrebbe essere in grado di intervenire rapidamente per evitare guai peggiori. Inizialmente questa nuova funzione avrebbe dovuto scattare dal 2024 ma con le ultime modifiche si è deciso di anticipare al 2022. E’ un passo verso l’agognata unione bancaria europea che precede la creazione di un’ assicurazione unica sui depositi.

Oggi i depositi bancari sono assicurati fino a 100mila euro ma a farsi carico di questa tutela sono i sistemi bancari dei singoli paesi. L’ipotesi è quella di unificare tra tutti i paesi euro questa rete di sicurezza per i correntisti. Ad ostacolare questo “salto” è soprattutto la condizione di 4 paesi, uno di questi è l’Italia. Il nostro paese presenta un livello di crediti deteriorati (ossia prestiti bancari che non verranno più restituiti o lo saranno solo in parte), superiore al limite necessario per dar vita all’assicurazione unica. Paesi dove il sistema creditizio è meno esposto a rischi sono comprensibilmente restii a condividere i rischi con stati che presentano un pericolo di fallimenti bancari maggiore. Certo è che senza riforma del Mes l’assicurazione unica sui depositi si allontanerebbe ulteriormente, cosa che all’Italia non conviene.

Debiti pubblici e default, cosa cambia con la riforma – Più delicate le questione che riguardano il ruolo del Mes a sostegno degli stati. Il vero rischio non sembra essere tanto quello che il Mes venga usato come grimaldello per scardinare la sovranità di uno stato imponendone la ristrutturazione del debito, come paventato da alcuni critici. Piuttosto il pericolo è che la riforma cambi poco o nulla, condannando il Mes ad una sostanziale inutilità. Come abbiamo visto oggi il Fondo muove in soccorso dei paesi in difficoltà a condizione che firmino un accordo su un programma di interventi. In teoria la riforma dovrebbe rendere un po’ più semplice l’accesso ai finanziamenti. Uno stato che ha i conti in ordine potrebbe accedervi senza dover prima di concordare un piano di risanamento. Sarebbe sufficiente una valutazione preventiva delle sue condizioni finanziarie. Se sufficientemente solide il prestito verrebbe erogato anche senza firmare accordi di altro tipo. E’ un po’ una contraddizione in termini visto che se un paese fatica a finanziarsi sui mercati è proprio perché non ha conti particolarmente brillanti. Tutto naturalmente dipende da quanto saranno stretti questi criteri. Difficile che si valutino debiti e deficit come prima della pandemia. Se così fosse quasi tutti gli stati, Italia in primis, sarebbero tagliati fuori dagli aiuti senza condizioni.

Il dilemma delle Cac’sC’è un altro elemento che preoccupa i paesi fortemente indebitati come l’ Italia. Sono le cosiddette Cac’s, le clausole di azione collettiva. Quando un paese decide di dichiarare default o è costretto a farlo, il piano di ristrutturazione del debito che ne consegue (ossia misure come l’allungamento delle scadenze dei titoli, il taglio ai rimborsi e/o agli interessi etc) deve essere approvato dai possessori dei titoli coinvolti. In passato per ogni tipo di titolo era necessario un voto. Le Cac previste nella riforma fanno in modo che basti una sola votazione per tutti i titoli coinvolti. Così si rende più semplice il processo di ristrutturazione del debito, e si evitano infiniti strascichi giudiziari. Perché potrebbe essere un male?

Secondo i critici il fatto che ricorrere al default sia più semplice, aumenta la probabilità che si ricorra davvero a questa opzione. Ma se le possibilità di default crescono, gli investitori si faranno pagare interessi più alti per prestare i loro soldi. Questi timori sono comprensibili in linea teorica ma appaiono però poco fondati nella pratica. Clausole di azione collettiva stanno venendo via via introdotte nei titoli di Stato di tutto il mondo, senza che si registrino apprezzabili conseguenze sul cosiddetto “premio al rischio”. Anzi, la possibilità di un procedimento ordinato in caso di default, finisce per rendere i titoli più allettanti. La modifica delle Cac’s per i titoli di stato dei paesi euro non è peraltro strettamente legata alla sola riforma del Mes e verrebbe introdotta in ogni caso. Più fondate sembrano le critiche che riguardano l’impianto generale della riforma. Secondo più di un osservatore il nuovo Mes nascerebbe già vecchio. La pandemia ha cambiato il mondo e persino la lenta Unione europea ha accelerato i suoi processi. L’avvio di programmi gestiti dalla Commissione Ue per reperire fondi sui mercati con una parziale condivisione del rischio tra gli strati membri, si pensi al programma Sure per finanziare le casse integrazioni o allo stesso recovery fund, rendono obsoleto il Meccanismo europeo di stabilità nel suo ruolo di intermediario tra stati in difficoltà e mercati.

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