Mentre nessuno vuole rimanere col cerino in mano, a Casamicciola c’è il rischio che la storia si ripeta. Non parliamo solo delle calamità naturali, che già troppe volte sono tornate a far danni e vittime. Ma delle responsabilità che potrebbero restare anonime, ancora una volta. La corte di appello del Tribunale di Napoli ha appena dichiarato prescritto il reato di omicidio colposo della quindicenne Anna De Felice, uccisa da una frana nel 2009. Il primo grado, iniziato solo nel 2016, ha visto nel 2019 la condanna dell’ex sindaco di Casamicciola Vincenzo D’Ambrosio a quattro anni di reclusione. Ora la prescrizione cancella tutto, e lo fa proprio nel merito delle stesse questioni riaperte dalla frana dello scorso 26 novembre sulle quali indaga ora la Procura di Napoli. Un altro disastro colposo con responsabilità da attribuire per la mancata bonifica del territorio, dalla manutenzione degli alvei alla sistemazione dei valloni sul monte. Ma anche per le mappe del rischio idrogeologico che proprio dove la frana ha fatto più morti e travolto più case mostrano zone bianche, a rischio zero, dove è possibile costruire e ricostruire. Dalla Regione al Comune, dai commissari all’Autorità di bacino, lo scaricabarile è partito.

La frana di fine novembre ha travolto anche la piazza intitolata all’adolescente morta ormai da 13 anni. Troppi per lasciare aperto un processo e trascorsi inutilmente visto che l’isola non ha ancora imparato a difendersi da frane e alluvioni. C’è la questione delle mappe dei piani di assetto idrogeologico (Pai). Quelle che dimostrano la prevedibilità del percorso della frana e la necessità di tenere quel percorso nelle migliori condizioni, dai canaloni a monte fino agli alvei a valle. Ma anche quelle che non dicono abbastanza, lasciando in bianco, quindi apparentemente a rischio zero, parte della zona più colpita, quella intorno a via Celario, nella parte alta di Casamicciola. Sulle mappe delle Autorità di bacino regionali, sopravvissute identiche a un intero ventennio nonostante gli effetti del cambiamento climatico e il moltiplicarsi degli eventi estremi, si passa da zone classificate a elevata e molto elevata pericolosità di frana (P3 e P4) direttamente all’assenza di pericolo. Chi ha sovrapposto queste mappe con quella del piano territoriale paesistico ha notato come l’assenza di pericolo consenta interventi urbanistici, compresa la ricostruzione degli edifici danneggiati dal terremoto che nel 2017 aveva colpito i tre comuni isolani di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio.

Tra le altre, è forse la questione più complessa. Perché la cartografia del rischio frane è figlia di modelli che si basano sulla morfologia del terreno e quindi va aggiornata tenendo conto dei cambiamenti che su questa influiscono. Ma anche perché le competenze sono passate di mano, più volte. Dopo le autorità di bacino regionali, ridisegnate in Campania come altrove, oggi la responsabilità tocca all’Autorità distrettuale dell’Appennino meridionale che comprende sette regioni. Un territorio troppo ampio, ha detto il segretario dell’Autorità Vera Corbelli nell’ultima puntata della trasmissione Report, con 68mila chilometri quadrati e appena 70 geologi a disposizione, troppo pochi per un’aggiornamento tempestivo dei piani. Quanto alla zona bianca del Celario, Corbelli aveva già chiarito che quanto manca va specificato con ulteriori rilievi. Che però toccherebbero ai comuni, compreso quello di Casamicciola che sul Piano di assetto idrogeologico non vede un solo cambiamento almeno dal 2010, ha ricostruito Report. Tanto che lo stesso commissario alla ricostruzione, Giovanni Legnini, certo nell’affermare che “non ricostruiremo dove c’è il rischio“, ha in mano una bozza del piano per sistemare i danni del terremoto che prevede la possibilità di ricostruire anche dove l’ultima frana si è abbattuta con maggiore violenza. Perché tocca basarsi sul Piano di assetto idrogeologico, che adesso andrà rivisto come tutto il resto. Di chi è la responsabilità per una cartografia non aggiornata? Dell’Autorità distrettuale, delle precedenti autorità regionali o dei comuni che non l’hanno integrata?

E’ bene ricordare che parliamo di comuni che, come Casamicciola, negli ultimi 25 anni e cioè da quando è obbligatorio, non sono riusciti nemmeno a dotarsi di un piano di emergenza comunale. Stavolta puntare il dito è fin troppo facile e il governatore della Campania Vincenzo De Luca non si tira certo indietro. Se la prende con il commissario di Governo al comune di Casamicciola che, dopo la caduta della giunta comunale, a giugno ha sostituito il sindaco. “Ha i poteri del sindaco e del consiglio comunale assieme e il Comune non ha un piano di emergenza comunale”, ha detto De Luca riferendosi alla commissaria Simonetta Calcaterra, che il governo ha voluto nominare commissaria anche per l’alluvione salvo poi spostare l’incarico su Legnini proprio per le lamentele di De Luca. Calcaterra però non ci sta. Alla guida del comune da appena pochi mesi assicura di aver avviato quello che sarebbe un iter complesso, per il quale va individuato un tecnico. Il comune avrebbe già in mano le candidature per il professionista chiamato a stilare il piano necessario, tra l’altro, a evacuare i residenti in caso di pericolo. Ma per l’ennesima volta non si è fatto in tempo. Piuttosto, ha detto Calcaterra, non è colpa sua se gli altri sindaci e commissari di Casamicciola (otto in tutto) non hanno fatto nulla dal 1998 ad oggi.

La stessa Regione, poi, non può certo dirsi al di sopra di ogni sospetto. Il processo appena finito in prescrizione, oltre a interrogare l’isola su questioni che oggi si ripropongono tali e quali, ha visto tra i testimoni dell’accusa anche l’ex sindaco Giuseppe Conte (in carica per un anno nei primi ’90, ndr), quello delle mail inviate a destra e a manca per chiedere l’evacuazione dei suoi concittadini alla vigilia dell’ultima tragedia. E rimasto inascoltato, stavolta come in passato. Quando denunciava i lavori di bonifica del territorio finanziati e mai portati a termine. Ben tre, a partire dalla sistemazione “urgente” di cinque alvei che nel 2010 era stata finanziata e affidata alla Regione, ente attuatore che non porta a termine nulla e nel 2017 affida tutto al Comune che ancora deve iniziare. “Uno scaricabarile“, lo aveva definito Conte, convinto che la Regione non potesse liberarsi così di incarichi assegnati dall’allora presidenza del Consiglio dei ministri. Nessuno si fa avanti per assumersi, almeno in parte, una delle tante responsabilità che andranno accertate dopo la frana del 26 novembre. Al contrario, è già in atto un nuovo scaricabarile tra i livelli istituzionali coinvolti e toccherà attendere la magistratura, sempre che faccia in tempo.

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