In Lombardia è da 30 anni che governa il centrodestra. La Giunta uscente, quella targata Fontana/Gallera/Moratti, ha brillato per incapacità e inconcludenza. La situazione socio-economica di famiglie e imprese lombarde, così come di quelle italiane, ha un segno fortemente negativo: l’inflazione morde, le bollette aumentano, le aziende annaspano, la qualità dei servizi, a partire da quello sanitario, sta peggiorando.

In un mondo normale, chi sta all’opposizione dell’attuale maggioranza regionale dovrebbe vincere in scioltezza. Tanto più che la Giunta uscente ha appena perso un pezzo, quello di Letizia Moratti, che certamente farà il pieno di voti anche in quella parte moderata e centrista che, senza Moratti in campo, si sarebbe turata il naso e avrebbe nuovamente votato Fontana.

Purtroppo, la realtà è un po’ più complessa e qualche numero ci può aiutare a capirla meglio. Alle precedenti elezioni regionali, nel marzo 2018, Fontana vinse con 2,8 milioni di voti battendo Gori che si fermò a 1.6 milioni di consensi. Il Movimento 5 stelle invece sfiorò 1 milione di voti. Lo scorso 25 settembre la destra si è fermata a 2,5 milioni (300 mila meno del 2018). Il centrosinistra ha preso 1,4 milioni (-250 mila). Renzi/Calenda: 500 mila. Conte: 370 mila (-600 mila).

Se dovessimo fermarci a questi dati il centrosinistra dovrebbe gettare la spugna prima ancora di iniziare il match. Oppure dovrebbe aderire alla tesi di coloro che nei giorni scorsi si sono sbattuti per fargli digerire la Moratti. Del resto, se i risultati elettorali fossero determinati solo dalla supina accettazione da parte degli elettori delle indicazioni delle segreterie partitiche, la scelta di sostenere la Moratti sarebbe stata la più logica o quantomeno quella con maggiori potenzialità di impedire una nuova vittoria della destra-destra.

C’è però il piccolo problema che gli elettori hanno una testa e sono sempre meno quelli disposti ad accettare i diktat di partito. Anzi: sono in crescita costante quelli nauseati dai giochi partitocratici e dal trasformismo politico. Fra i dati sopra esposti manca infatti un numero decisivo: quello degli astenuti che, in Lombardia, il 25 settembre ha toccato la cifra record di 2,2 milioni di persone. Ed è del tutto evidente che con Moratti candidata per il centrosinistra questo dato sarebbe esploso ulteriormente.

In questo scenario, la candidatura di Pierfrancesco Majorino sembra dunque essere quella più logica o quantomeno quella più funzionale a costruire uno schieramento di reale alternativa al sistema di potere e alle logiche politiche che hanno egemonizzato la Lombardia nell’ultimo trentennio. Di sicuro – grazie al curriculum, alla credibilità e alle posizioni più volte espresse dal candidato – quella di Majorino è la candidatura che ha più opportunità di allargare a sinistra l’alleanza e di smuovere una parte considerevole di potenziali astensionisti.

Se questo dovesse accadere – se cioè Majorino riuscisse a tenersi tutti i voti del centrosinistra sommando quelli dei 5 stelle e delle forze di sinistra come Unione Popolare e smuovendo a proprio favore un 10/20% degli elettori destinati all’astensione – la partita con Fontana diventerebbe contendibile. E in questa gara a chi prende un voto in più dell’altro, proprio Moratti potrebbe svolgere una funzione decisiva erodendo a Fontana una parte dei voti che, il 25 settembre, erano andati a destra.

Ma il problema ora è proprio questo. Riuscirà Majorino a fare questo miracolo?

Sulla carta non dovrebbe essere impossibile. La Giunta uscente viene da cinque anni disastrosi. In particolare, sulla Sanità – settore che riguarda il 70% della spesa regionale – ha inanellato tanti e tali errori da rendere quasi assurdo che si possa continuare a dare fiducia a una classe politica che ha sbagliato così tanto. E chi le ha fatto opposizione dovrebbe vincere in carrozza.

Ma la memoria degli italiani e dei lombardi è un po’ corta; le televisioni berlusconiane da trent’anni orientano cultura e voti; le lobbies e le clientele costruite dal centrodestra in questi decenni sono forti e radicate e le appartenenze ideologico-partitiche continuano a garantire alla destra un consistente zoccolo duro di voti.

E poi ci sono i ritardi e gli errori della sinistra e soprattutto del Pd. Le vicende nazionali con l’abbarbicamento dei leader al potere e alle poltrone; gli innamoramenti per i tecnocrati liberisti; le passioni americaneggianti e guerrafondaie; i “campi larghi” impossibili: tutto questo ha contribuito non poco ad allontanare dalle urne il popolo dal Pd e ha diffuso disillusione e distacco dalla Politica. Da ultimo si aggiunga lo stallo congressuale con le priorità date ai giochi correntizi e congressuali anziché ai problemi veri delle famiglie e delle imprese e l’avversione pregiudiziale e ideologica verso i 5 stelle, un partito realmente impegnato a riposizionarsi stabilmente sul fronte progressista. Come stupirsi allora se gli ultimi sondaggi confermano che la tendenza all’erosione dei voti del Pd non si è certo arrestata al già misero risultato del 25 settembre?

Non da ultimo, c’è il grave ritardo con cui il Pd, anche a causa della totale assenza di una strategia politica nazionale chiara e definita, ha deciso di dare il via libera alla candidatura Majorino, privandolo dei tempi necessari per rafforzare la sua discesa in campo con un processo di coinvolgimento dal basso – le famose “primarie” – che sarebbe stato molto utile, se non addirittura indispensabile, per smuovere energie, reti di relazioni, competenze e disponibilità.

Per tutte queste ragioni il “ribaltone” sugli esiti della prossima consultazione elettorale sarà alquanto difficile. Difficile, ma non impossibile.

Un risultato concreto, però, Majorino può già raggiungerlo: si dimentichi il Parlamento Europeo. Dichiari da subito che, qualunque sia il risultato delle urne, lui si dedicherà anima e corpo alla Regione Lombardia per i prossimi 5 anni e inizi immediatamente a costruire un’alleanza di popolo che parli dei problemi reali dei lombardi: in Lombardia, su sanità, servizi sociali, trasporti, ambiente, formazione e sostegno alle imprese, un’altra Regione è possibile. Ma va costruita e fatta comprendere ai cittadini-elettori, soprattutto a quelli stanchi e disillusi.

Il destino dei progressisti, non solo di quelli lombardi, non può essere l’esito di accordi di vertice o di congressi partitici. Può partire solo dal basso, unendo forze, persone, associazioni disponibili a lavorare per un’idea di società e un modello di sviluppo diverso e alternativo.
Questo lavoro Majorino può avviarlo da subito, superando etichette, correnti, appartenenze e burocrazie di partito. E se questo processo non dovesse portare a vittorie immediate, poco importa. Sarà comunque indispensabile per dare basi e speranza ai successi futuri. In Lombardia, e forse anche nel Paese.

Buon lavoro Pier!

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