Se le temperature miti e il bel tempo delle ultime settimane hanno fatto tirare un sospiro di sollievo per la possibilità di ritardare ancora l’accensione dei termosifoni, abbassando l’utilizzo degli stock di gas, allo stesso tempo il clima poco autunnale sta già facendo scattare l’allarme siccità. Le riserve idriche in vista della primavera-estate si accumulano in buona parte negli ultimi mesi dell’anno precedente. E in ottobre è piovuto poco, soprattutto se si tiene in considerazione che i bacini sono arrivati alla fine della scorsa estate già in sofferenza. Dal fiume Po al lago Maggiore fino ai corsi appenninici e ai fiumi della Valle d’Aosta, chi più e chi meno, tutte le grande risorse italiane faticano a ritrovare un loro equilibrio. A lanciare l’allarme è l’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche, approfittando dell’ultimo report dell’European Drought Observatory.

Nei documenti dell’Osservatorio europeo sulla siccità, servizio gestito dal Centro comune di ricerca della Commissione europea, si evidenzia come ormai il 27% del territorio continentale sia considerato in zona rossa e il 22% in zona arancione. E il Nord ovest del nostro Paese è ricompreso nell’area arida come ampie zone di Spagna, Francia, Germania, Paesi Bassi e sud dell’Inghilterra. E proprio la situazione idrologica dell’Italia settentrionale “appare sempre più compromessa” spiega l’Anbi aggiungendo che per l’assenza di significative piogge autunnali, i “grandi laghi” permangono abbondantemente sotto le media del periodo.

I bacini d’Iseo e di Como sono rispettivamente al 5% e 8,5% del riempimento, mentre il Maggiore è al 18,7%. Per rendere l’idea, quest’ultimo lago “era il 70% nel 2021 ed il 90% nel 2020”. Il Benaco, invece, è “indirizzato verso il minimo storico, registrato nel 1986″. Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, avverte che “se non pioverà con regolarità nelle prossime settimane, inizieremo il nuovo anno già in sofferenza idrica. È evidente l’urgente necessità di aumentare le riserve idriche del Paese, trattenendo al suolo più dell’11% di acqua piovana che attualmente riusciamo a stoccare quando arriva”.

“In Valle d’Aosta non sono bastati circa 20 millimetri di pioggia, caduti finora in ottobre, per ristorare la portata della Dora Baltea”, continua l’Anbi. Non va meglio per i corsi d’acqua del confinante Piemonte, dove restano bassi perfino i livelli dei fiumi in crescita (Tanaro, l’Orco, Chisone), mentre sono invece in evidente calo quelli di Cervo, Stura di Lanzo, Stura di Demonte e sono praticamente ancora ‘asciutti’ Ellero, Orba, Varaita, Bormida. In Lombardia, spiega ancora l’Anbi, è l’Adda a testimoniare la sofferenza di un territorio in costante attesa di piogge: la portata del fiume, infatti, è di circa il 75% inferiore a quella registrata nello stesso periodo del biennio precedente. Le riserve idriche regionali “sono inferiori del 53,3% alla media, ma raggiungono -80% nei bacini di Brembo e Oglio, nonché -76% in quello del Serio”, stando ai dati di Arpa Lombardia.

E il Po? Le portate del Grande fiume, prima risorsa idrica d’Italia, “sono in costante calo nel tratto piemontese e lombardo, mentre registrano una lieve ripresa alle stazioni di rilevamento in Emilia Romagna, pur restando gravemente lontane dalla media storica”. A Pontelagoscuro, sottolinea l’Anbi, “manca all’appello oltre il 70% del flusso”, sulla base dei dati dell’Arpa Emilia-Romagna. Nella stessa regione “sembra senza fine la discesa delle portate nei corsi d’acqua appenninici: ne è testimonial, la Secchia con un deficit pari all’80% della media mensile”. A preoccupare è anche la siccità nel Nord Est del Paese: mentre in Friuli Venezia Giulia perdura lo scarso apporto di piogge ottobrine, in Veneto si sorvegliano sia i livelli di falda che quelli dei corsi d’acqua superficiali. L’Adige ad esempio è ai minimi del decennio, la Livenza e il Bacchiglione registrano, già da settembre, una portata inferiore dell’80% alla media mensile. Le riserve idriche regionali sono al 57% dei volumi e scendono al 25% nel bacino del fiume Brenta.

Più composita la situazione nel Centro Italia e al Sud. In Toscana crescono i fiumi Serchio e Sieve, ma calano Arno ed Ombrone, mentre nelle Marche cresce solamente il Sentino. Preoccupa in Umbria la continua decrescita dei livelli del lago Trasimeno, abbondantemente sotto la quota di livello critico, fissata a metri -1,20. Sta invece “bene” l’alto corso del Tevere, che però cala raggiungendo il Lazio, dove diminuiscono anche i livelli di Aniene e Sacco, nonché del lago di Nemi. Bilancio idrico in deficit anche in quasi tutto l’Abruzzo, perché i valori dell’evapotraspirazione sono stati superiori a quelli delle precipitazioni.

I fiumi campani Sele, Sarno, Volturno e Garigliano sono in ulteriore, ma moderato calo, così come gli affluenti ed i corsi d’acqua minori; sono invece in aumento i volumi del lago di Conza della Campania sul fiume Ofanto e in diminuzione quelli dei bacini del Cilento sul fiume Alento. Scendendo più a Sud, rallentano i prelievi irrigui dai bacini di Puglia (solo 500.000 metri cubi in una settimana) e Basilicata (3.500.000 metri cubi contro gli 8 milioni di un anno fa). Prosegue infine l’anomala condizione della Sicilia, che dall’anno scorso si qualifica come una delle regioni più umide di questa “Italia idricamente capovolta”: al netto dei gravi disagi alluvionali, anche recenti, a beneficiarne sono gli invasi che, ad inizio ottobre, già raccoglievano oltre 70 miliardi di litri d’acqua in più rispetto all’anno scorso, come segnalato dal Dipartimento regionale dell’Autorità di bacino del Distretto idrografico Sicilia.

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