di Daniele Giuseppe Cannata

Il voto dovrebbe essere una scelta, personale, in cui credere fino in fondo. Il voto è, o perlomeno dovrebbe essere, l’atto con il quale riponiamo la nostra fiducia, prima di tutto, in persone che rappresentino anche meglio di noi le nostre speranze e i nostri ideali.
Sono, purtroppo, chiari gli ideali di questa destra. Anche troppo.

Ma dall’altra parte, il Pd che idea di paese ha? Perché mancano meno di due settimana al voto ma, ad esclusione dei diritti sociali, le ricette proposte sono sovrapponibili a quelle dell’avversario tanto osteggiato? Il voto è, o perlomeno dovrebbe essere, la massima espressione di una democrazia.

Poi vedi che a Bologna, chi voterà Pd, si ritroverà per l’ennesima volta Casini in Parlamento e allora ti rendi conto che la considerazione per gli elettori è al minimo storico. Che rispetto hai dei tuoi elettori se, nella tua roccaforte, imponi una scelta così (ideologicamente) violenta?
Il voto è, o per lo meno dovrebbe essere, divisivo. In maniera semplicistica: si va alla conta! Quanti hanno un’idea di futuro e di Paese e quanti un’altra e un’altra ancora.

Ma tra chi dovrei votare se le soluzioni dei due maggiori interpreti (ne cito solo alcune) per affrontare questo inverno, la questione ucraina e il salario minimo, sono sovrapponibili?

La Meloni non vuole il reddito di cittadinanza (sicuramente migliorabile) e il salario minimo nemmeno lo nomina. Il Pd il salario minimo lo vuole ma delega la decisione alle contrattazioni collettive che, in parole povere, equivale a non volerlo. In una fase storica dove l’inconsistenza dei sindacati è tangibile (oggi utili al massimo per le dichiarazione dei redditi), il salario minimo prima lo imponi per legge e con un importo minimo dignitoso collegandolo anche a un paniere di beni essenziali e poi, se il sindacato è in grado, contratta ulteriormente al rialzo.

Nel confronto diretto Letta (vs) Meloni, in questa fase storica, l’elettore medio si aspetterebbe di vedere, figurativamente, schizzi di sangue e viscere ovunque e invece la sintesi è un cin cin, come in un aperitivo qualunque.
Il voto è, o per lo meno dovrebbe essere, libertà di scelta.

Ecco, oggi, o perlomeno tra due settimane, la scelta non c’è. Letta non vuole vincere e ha fatto di tutto per non poter nemmeno competere. Se già sembrava, anche ai novizi, una topica enorme escludere dall’accordo di coalizione il terzo partito italiano (M5S), la consacrazione l’abbiamo avuta con l’ennesima zappata sui piedi delle ultime ore.

Infatti Letta, occhi di tigre (qualcuno li ha mai visti?), non pago, ci ha messo il carico da 90. Ha dichiarato che la coalizione con Sinistra Italiana e Verdi è solo elettorale e non farà mai un governo con loro (complimenti a Fratoianni e Bonelli: sarete eletti, ma potevate volare molto più in alto).

Ma torniamo a lui: Enrico, ma davvero? Spiegamela bene, per cortesia, perché sono un po’ in difficoltà. Perché dovrei votarti se so già che non governerai con i tuoi alleati di coalizione? A volerti dare fiducia, verrebbe da pensare che sei una spia della destra infiltrata, male, a sinistra. Il risultato, ti garantisco, l’hai raggiunto. Ma la copertura, ad occhio e croce, è saltata definitivamente. A pensare male invece, verrebbe da dire che forse ti sei collocato da questa parte della barricata perché a destra le rose erano già complete, in centro avevano già piazzato la loro bandierina Renzi e Calenda e allora non ti è rimasta che la sinistra, dove ormai c’è, colpevolmente, un vuoto da decenni.

Nel frattempo crescono i rimpianti per un polo ispirato all’esperienza francese di Melenchon composto da M5S (ad oggi unico vero voto utile possibile), Sinistra Italiana e Articolo Uno. Non avrebbe vinto ma sicuramente avrebbe dato rappresentanza a milioni di elettori e una chance concreta per salvare la Costituzione perché sicuramente sarà assaltata da destra, Calenda e Renzi. Quest’ultimo avrà così, finalmente, la sua vendetta dal referendum del 2016.

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