di Eleonora Padovani
Fino a qualche anno fa pensavo che il Pd avesse bisogno di “purgare”. Dal punto di vista elettorale prendersi, cioè, tante “tranvate” quante ne fossero necessarie per tornare ad essere sinistra. Essere sinistra alias occuparsi con credibilità dello stato sociale e della condizione dei lavoratori nel paese. Le tranvate le prende, ma ancora non la capisce, condannandosi all’inesistenza. E’ ancora afflitto dalle divisioni interne che lo portano ad essere irrilevante. Vero è che con le “coalizioni” è sempre secondo o terzo partito nel paese, detta imprecisamente, ma con un paio di altre divisioni alla Calenda-Renzi il Pd scompare. Del futuro del Pd in questo senso vedo la necessità di interrompere “la serialità tossica del Pd”, come l’ha chiamata Filippo Ceccarelli, che non ha pagato pegno, non ha ancora purgato.
Guardiamo poi alle donne nel partito; mi chiedo: perché restano lì? Perché decidono di restare candidate all’irrilevanza? Questo è un futuro che vedrei: le donne del Pd che fondano un partito proprio e candidano le migliori militanti presenti sulla scena per andare in parlamento. “Provo un senso di rivolta a vedere che stanno lì”, ho sentito dire in televisione ad una militante e giornalista brasiliana per Lula presidente, di cui purtroppo non ricordo il nome altrimenti la citerei, e sono d’accordo con lei che mi ha stimolata a fare questa riflessione.
Parliamo invece di credibilità. Facciamo un esempio: sono in una squadra che si candida al governo, credo nel progetto politico di Letta, lavoro in campagna elettorale per questa idea, perdo le elezioni ma prendo dei voti. Cosa vedo? Il segretario che è anche il “mio leader”, in teoria, che, dopo una sconfitta, molla, esce. Che credibilità può dare a me che sono nella sua squadra? Bassa suppongo, figuriamoci che credibilità possa dare a chi sta fuori.
Nel futuro del Partito Democratico vedo perciò la direzione che Marco Furfaro ha indicato nell’intervento rivolto alla Direzione nazionale del Pd. La necessità di “una visione del mondo supportata dalla credibilità dell’azione politica conseguente” e di rappresentanti che non siano “responsabili di ciò che vivono le persone, della loro condizione di precarietà”. Altri i rappresentanti, quindi. Nostra ancora la condizione di precarietà.
Mi permetto di suggerire infine, in un futuro non troppo lontano, di cambiare l’agenzia pubblicitaria che gli ha ideato un logo e uno slogan più simile a quello di un’agenzia immobiliare.