Paolo Borsellino è da sempre nel pantheon di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni lo ha inserito perché lo considera un giudice di destra, fedele alle Istituzioni, che da giovane era stato iscritto al Fuan. Oggi, però, come governatore della Sicilia, la regione di Borsellino, Meloni candida Renato Schifani, l’ex presidente del Senato che è stato a lungo indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2014, il giudice ha archiviato la sua posizione, ma nel motivare quella decisione ha scritto : “In definitiva sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di legale civilista ed esperto in diritto amministrativo”. Poi ha aggiunto che quelle relazioni “non assumono un livello probatorio minimo per sostenere un’accusa in giudizio”. In pratica il giudice ha ritenuto provati i rapporti di Schifani con uomini vicini ai clan ma ha ritenuto che quei rapporti non bastano per sostenere un processo.

Schifani, dunque, non ha commesso reati e oggi Fdi e Meloni lo vogliono governatore della Sicilia. Eppure proprio Borsellino si era espresso chiaramente su casi analoghi. Lo ha fatto nel 1989, durante un intervento pubblico a Bassano del Grappa. “L’equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non l’ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto”, sono le parole del giudice che sarà poi ucciso in via d’Amelio. “Eh no! – continuava Borsellino – Questo discorso non va perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire che ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire che quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali, o quello che sia, dovevano già trarre le dovute conseguenze da queste vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica”. In pra dove non riesce ad arrivare la magistratura deve arrivarci la politica. Certi comportamenti devono essere presi in considerazione per evitare di candidare chi ha avuti rapporti con uomini legati alle cosche, anche se non costituiscono reato. Ecco, Giorgia Meloni dovrebbe riascoltare queste parole e trarne le conseguenze: Borsellino non può stare nel pantheon di Fdi se poi Schifani è il candidato in Sicilia.

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