L’elemento che distingue l’economia spagnola negli ultimi mesi non è la linearità. Dati contrastanti rendono il quadro incerto e di difficile lettura. L’ultimo rapporto del Ministero del Lavoro sull’andamento dell’occupazione lascia intravedere più di un bagliore in fondo al tunnel: dal 24 febbraio, momento di inizio delle operazioni belliche sul suolo ucraino, il numero dei disoccupati è sceso di oltre 230mila unità. Nel contempo la riforma del lavoro, approvata a fine 2021, assicura un aumento significativo dei contratti a tempo indeterminato.

Joaquín Pérez Rey, segretario di Stato in materia di impiego, ha sottolineato come lo scorso mese di giugno, periodo solitamente dominato dai contratti a termine per l’alta presenza di stagionali, ha segnato un clamoroso incremento dei “contratos indefinidos”. Così in quasi la metà dei nuovi contratti non si fissa alcun limite di tempo, un fenomeno eccezionale in un paese dove spiccano precariato e lavoro nero.

Le prospettive delineate dal Programma di stabilità 2022-2025 recentemente presentato dall’esecutivo di Pedro Sánchez a Bruxelles non sono meno incoraggianti. Nell’atto programmatico che tutti gli Stati membri sono tenuti a sottoporre alla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, si tratteggiano orizzonti rosei per il mercato del lavoro, con una disoccupazione stimata, di qui a tre anni, al di sotto del 10%. Insomma, un ritorno ai tempi che hanno preceduto la crisi finanziaria del 2008. Il governo di coalizione guidato da Sánchez ha rivendicato i meriti di risultati tanto brillanti, sperando in un rilancio dopo la debacle sofferta dalla sinistra nei feudi elettorali del sud nelle recenti consultazioni regionali in Andalusia.

Non sono poche, però, le spine nel fianco dell’esecutivo: il dato dell’inflazione di luglio ha marcato un preoccupante 10,8% (sei decimi in più di giugno), il livello più alto degli ultimi quattro decenni. E il più alto dell’Eurozona, con la componente energetica a giocare un ruolo chiave nel primato negativo. Il prezzo dell’energia elettrica è aumentato dell’80 per cento – a fronte del 33% di media in Europa – e il costo dei carburanti è schizzato verso l’alto (+ 52%), tanto che per una volta il prezzo della benzina alla pompa è più alto che in Italia. Con una contraddizione: da un lato, un trend energetico così negativo rende impercettibile l’incidenza dell’energia nucleare prodotta in Spagna (pari al 20% del consumo totale), dall’altro la crisi rispolvera il dibattito sul mantenimento in vita dei sette reattori attivi anche dopo il 2035, anno della programmata chiusura delle centrali atomiche.

E se le sanzioni eurounitarie allontanano il gas di Putin, la geopolitica regionale complica le soluzioni alternative rendendo difficile il trasporto del gas algerino sulla sponda spagnola del Mediterraneo. L’Algeria di Abdelmadjid Tebboune, storica alleata dei saharawi del Fronte Polisario, organizzazione che rivendica l’indipendenza del Sahara Occidentale dal Marocco, non ha visto di buon occhio l’Accordo tra Rabat e Madrid col quale la Moncloa, facendo un bagno di realismo, ha lasciato la posizione filo-indipendentista dell’ex colonia per sposare la proposta di autonomia avanzata dal re Mohammed VI.

Dopo una crisi diplomatica durata due mesi, ora Algeri promette di riaprire i rubinetti del gas verso la Spagna: l’annuncio di pochi giorni fa dell’associazione bancaria algerina di voler sbloccare le operazioni di cassa è un primo passo verso la ripresa delle relazioni commerciali. Una buona notizia per un paese chiamato a sostenere una sorprendente fase espansiva del Pil, una delle più accentuate nella zona Euro.

Nel mare di dati discordanti tutto sembra essere connesso: una posizione politica, una diversa alleanza, una dichiarazione congiunta, ogni cosa ha un riverbero diretto sull’economia.

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