Tanto caldo e poca pioggia. Uno scenario normale nei terreni agricoli del Sud Italia, almeno fino a qualche anno fa. Difficile, ma ormai prevedibile al contrario dell’attuale meteo impazzito: con ondate di calore fuori stagione e alluvioni – improvvise e violente – che si alternano alla carenza idrica dovuta a reti colabrodo. È così che il cambiamento climatico sta causando danni sempre maggiori a tutto il comparto agricolo con perdite sostanziali in termini di produzione. Dalla Puglia alla Sicilia, passando per Calabria e Campania, sono tanti gli imprenditori del settore che progressivamente stanno sperimentando l’abbandonando delle tradizionali colture per investire nella produzione di frutti che ben si adattano al nuovo clima sub-tropicale del meridione. Alle pendici dell’Etna, insieme ai classici limoni e alle arance, si coltivano ormai anche avocado e banane. Così come nella piana di Gioia Tauro, in Calabria, un tempo conosciuta per essere la patria delle clementine.

Un cambiamento nelle colture in cui però è necessario procedere con cautela. “L’avocado, ad esempio, riesce a crescere solo nelle aree in cui le conseguenze delle mutazioni climatiche sono minori. C’è bisogno insomma di una vocazione specifica del territorio, anche a livello regionale”, spiega al fattoquotidiano.it Andrea Passanisi, presidente di Coldiretti Catania e fondatore del consorzio Sicilia Avocado, leader nella produzione sull’Isola con esportazioni in Italia e in Europa. “Avere temperature più alte non giustifica l’avvio di una produzione – spiega – C’è bisogno di una media di 17 gradi, un terreno che non sia argilloso e che si trovi in zone riparate dal vento”. In Sicilia l’avocado ha trovato il suo habitat ideale lungo il versante ionico, alle pendici dell’Etna. “Il vulcano – continua Passanisi – catalizza le nuvole rendendo tutta la fascia orientale umida d’estate ma anche decisamente piovosa, con importanti risparmi per l’irrigazione”.

Dietro il boom della produzione dell’avocado c’è pure una domanda sempre maggiore da parte dei consumatori. “Tuttavia i primi impianti sperimentali, in Sicilia, risalgono agli anni ’60 – continua Passanisi – segno di come alcune zone fossero già indirizzate verso questo tipo di colture. L’errore di tanti sta nell’inseguire solo la richiesta del mercato, tralasciando la qualità. Noi puntiamo sulla comunicazione, cercando di raccontare il prodotto. Vogliamo differenziare un avocado che nasce alle pendici dell’Etna e che spediamo in Francia in 36 ore rispetto a un frutto anonimo importato dal Perù o dal Messico che affronta 28 giorni di viaggio in nave”.

Il clima, quindi, aiuta ma non è l’unico fattore. Da analizzare c’è anche il contesto economico. Coltivare e raccogliere arance o pomodorini di Pachino è spesso sconveniente, a causa dei prezzi troppo bassi imposti dal mercato ma anche per i troppi passaggi dai campi alla tavola che fanno lievitare il costo per l’utente finale. Vincenzo Luccisano, agronomo e imprenditore di 45 anni, tre anni fa ha deciso di estirpare le clementine che coltivava nella sua azienda a Rosarno, nella piana di Gioia Tauro. “Colpa della crisi del settore degli agrumi – spiega al fattoquotidiano.it – Il 90 per cento della produzione delle clementine è calabrese ma i prezzi sono troppi bassi e non era più conveniente andare avanti”. Il passo successivo è stato quello di lanciarsi sul mercato della frutta tropicale. “In Calabria umidità e temperature sono sempre più alte e quindi l’avocado si adatta bene – spiega – I presupposti sono buoni e c’è un certo interesse da parte del consumatore. Per noi calabresi è una novità assoluta e posso dire che a oggi sta andando bene. Nel 1990 alcuni agricoltori avevano provato ma è stato un fallimento, anche perché non si sapeva a chi vendere il frutto”. Oggi invece parecchio richiesto sul mercato. Come altri simili, che però non godono della stessa fortuna nel nostro Sud: “Ho fatto dei piccoli esperimenti con mango e frutto della passione – conclude Luccisano – ma sono sensibili al gelo”.

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