La presunta frode nella pubblica fornitura ha avuto “l’esito di posporre l’interesse pubblico” ad “interessi privati convergenti degli imputati” Attilio Fontana e Andrea Dini, col concorso degli altri “chiamati a dare esecuzione alle disposizioni del Presidente della Regione Lombardia” e il tutto nel “pieno della pandemia da Covid”. La procura di Milano insiste e ricorre in Appello su cosiddetto “caso camici” contro il proscioglimento del governatore della Lombardia, del cognato e di altre tre persone. Il 13 maggio scorso i cinque imputati erano stati prosciolti dal gup Chiara Valori con cui, il 13 maggio scorso per “non luogo a procedere perché il fatto non sussiste” dall’accusa in pubbliche forniture.

Già ieri era emerso che, dopo che lo scorso 26 maggio erano state depositate alle parti le motivazioni del verdetto, la Procura avrebbe presentato l’atto di impugnazione alla Corte d’Appello di Milano. La “trasformazione” da fornitura a donazione, ha scritto il gup Valori nelle motivazioni, “si è realizzata con una novazione contrattuale che è stata operata in chiaro, portata a conoscenza delle parti, non simulata ma espressamente dichiarata” e non ci fu quindi alcun “inganno”. Nel ‘caso camici’, ha spiegato ancora il giudice, “pare difettare in toto la dissimulazione del supposto inadempimento contrattuale”.

Inadempimento contestato, invece, dalla Procura perché, quando quella fornitura dell’aprile 2020 affidata a Dama, società di Dini (il cui 10% era detenuto dalla moglie del governatore della Lombardia), da 75mila camici e altri 7mila dispositivi di protezione per 513mila euro, si era trasformata in donazione non erano stati più consegnati 25mila camici. L’aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Paolo Filippini e Carlo Scalas col ricorso chiedono di ribaltare la sentenza del gup e insistono affinché i cinque imputati vengano mandati a giudizio (la decisione spetterà alla Corte d’Appello). Il giudice non aveva ritenuto necessario un processo nemmeno per Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, rispettivamente ex dg e dirigente di Aria – cioè la Centrale acquisti della Regione – e per Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione.

Con un nuovo “accordo” – questo il succo delle motivazioni della sentenza – le parti modificarono quel contratto e la fornitura di camici si trasformò in donazione col consenso di tutti che ne accettarono le condizioni. Non conta, dal punto di vista giuridico e penale, il motivo, ossia che si volesse “indubbiamente” mettere “al riparo” il presidente della Lombardia dalle “attenzioni della stampa e dal giudizio dell’opinione pubblica”. Il cambio in corsa, secondo il giudice, fu reso “palese” tra le parti: da un lato Dama ha sospeso le consegne, dopo aver fornito 50 mila camici, e dall’altro Aria “ha revocato i mandati di pagamento“. I motivi del verdetto, tuttavia, non convincono gli inquirenti perché, in sostanza, lo stop alla fornitura pubblica sarebbe stato trattato dal giudice nelle motivazioni come una ‘questione privata’, non tenendo conto che uno dei contraenti era la centrale acquisti della Regione.

Nel ricorso la procura scrive che nei giorni della pandemia “25mila medici, infermieri e altri operatori sanitari” hanno dovuto lavorare “in assenza di un dispositivo di protezione”, perché si è preferito “anteporre la salvaguardia dell’immagine politica” del governatore. I pm chiedono che venga emesso un “decreto che dispone il giudizio“, citando una serie di argomentazioni tecnico-giuridiche, con cui spieganoche “la sentenza” di proscioglimento “è del tutto errata in fatto e in diritto”. Il processo, scrivono i pm, “avrebbe dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fatto estremamente grave dell’inadempimento, accompagnato dalle componenti di frode” nella pubblica fornitura e “nel pieno della pandemia da Covid”. Con il passaggio da fornitura a donazione, infatti, stando alle indagini, la società di Dini non consegnò più 25mila dei 75mila camici previsti alla centrale regionale Aria spa. Vennero tutelati così, secondo i pm, “gli interessi personali del Governatore“, quando emerse, attraverso un’inchiesta giornalistica, il conflitto di interessi, e “quelli economici della Dama spa riferibile alla moglie e al cognato”, ma non l’interesse pubblico alla “completa e tempestiva esecuzione della fornitura”. L’impugnazione dei pm “censura il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice“, che avrebbe anche “omesso” di valutare “elementi di fatto”. I fatti, insistono i pm, “si svolgono in piena pandemia, quando Aria non riusciva a soddisfare le richieste di Dpi provenienti dagli ospedali lombardi”. Tra l’altro, secondo i pm, Fontana “era pienamente consapevole del contratto”, del valore di poco più di mezzo milione di euro, siglato tra “Dama e Aria” e che poi si trasformò in donazione.

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