“Thanks for keeping conversation about Ukraine alive!”.

Così si conclude il messaggio che Eugen Fedchenko mi ha scritto su Facebook. Chi è Eugen? L’ho conosciuto nel 2017 quando era direttore della scuola di giornalismo a Kiev e co-fondatore della ONG Stop Fake, una organizzazione dedita al debunking sistematico contro la propaganda russa. L’ho conosciuto perché l’ho invitato in Parlamento, allora ero deputato, a raccontare come stessero andando le cose in Ucraina e che cosa si aspettassero dalla Russia e soprattutto dall’Unione Europea. Le sue risposte mi restano dentro e assumono il sapore del rimpianto, quello che si prova per ciò che si sarebbe potuto fare, se soltanto la volontà, il coraggio, la forza non fossero mancati.

Perché Eugen, come tanti altri giovani ucraini, voleva democrazia, voleva libertà, voleva Europa. Cose care ad un’altra giornalista che avevo avuto modo di conoscere nel 2004, la russa Anna Politkovskaja, assassinata poi nel 2006 a Mosca: troppo scomoda per il regime putiniano. Lei che in vita non aveva mai mancato di mettere in guardia sulle reali intenzioni di Putin. Anna la conobbi nel 2004 perché già allora ero stato ad est, in Ucraina e in Russia: con una carovana, chiamata Oltre la Fortezza, partita da Torino per portare solidarietà alle famiglie di Beslan devastate dalla strage di settembre. Con meno 30 gradi avevamo dormito in Piazza Maidan insieme a migliaia di manifestanti che chiedevano l’annullamento delle elezioni, chiedevano libertà, democrazia, Europa. Era il 2004 e purtroppo quei giovani vinsero soltanto a metà, la storia poi sappiamo come è andata.

Proprio per questo non mi interessa aggiungere parole alle tante che già si sono adoperate su cosa bisognerebbe fare con la guerra, quali armi, quali sanzioni, quale diplomazia… etc. Il punto che mi sta a cuore è un altro. Cosa siamo disposti a fare noi italiani, noi democratici, noi che crediamo nella libertà dell’individuo, per metterci nelle condizioni migliori, per evitare che la guerra resti lo strumento normale di prosecuzione della politica con altri mezzi? Cosa siamo disposti a fare perché le ragioni della democrazia e della cooperazione riescano a persuadere e ad aggregare ancora uomini e donne che vivono altrimenti?

Perché è del tutto evidente che ancora una volta le ragioni della democrazia e della composizione non violentate dei conflitti sono rimaste schiacciate sotto la prepotenza della ragion militare, resa vergognosamente ineludibile dalla solita arroganza mistificatrice di chi ha interesse a far sparare i cannoni.

Per me la risposta è la stessa del 2004: dobbiamo avere la capacità di compiere il progetto degli eroi di Ventotene e fare dell’Unione Europea una Repubblica federale fondata su uguali diritti e uguali doveri, capace di avere una difesa comune perché prima di tutto capace di avere una politica sociale comune, una politica fiscale comune, una politica estera comune. Una Repubblica federale europea fondata su uguali diritti e uguali doveri, capace di superare per sempre la competizione sleale che ancora azzoppa dall’interno il “condominio Europa”, capace di far pesare sulla bilancia della storia mondiale il peso di “repubblica” e “democrazia”, più del peso che hanno regimi autoritari e (più o meno spudoratamente) imperialisti.

Quelli di Ventotene furono “eroi” giganteschi, perché ebbero la forza morale di scommettere sulla libertà, sulla democrazia e sull’Europa nel momento in cui erano più sconfitti, sepolti vivi nel confino, con i nazifascisti che sembrava si mangiassero il mondo intero. Vinsero i sepolti di Ventotene, loro si presero la storia e non i nazifascisti. Noi saremo ancora all’altezza di quella forza morale? Questo è il punto.

La COFE (Conferenza sul futuro dell’Europa) sta per concludere i propri lavori senza essere riuscita a produrre granché, ma non tutto è perduto. Oggi, più che due anni fa, tra pandemie e guerra, tanti leader europei sono convinti che il salto di paradigma non possa essere rinviato. Forza! Come dicevano i giovani ucraini del 2004 in piazza Maidan, porà! “il nostro tempo è adesso!”.

Questo il messaggio integrale di Eugen: Dear Davide, I am safe! Thank you very much for remembering – it was a great opportunity when you invited me to talk about StopFake and fight against disinformation. Thanks for keeping conversation about Ukraine alive!

Quando nel 2017 chiesi a Eugen se si sentisse in pericolo a causa delle sue denunce, mi rispose che in Ucraina tutti si sentivano in pericolo, perché di fatto stavano in guerra.

Articolo Precedente

Cara Finlandia, entrare nella Nato ora sarebbe una scelta irrazionale

next
Articolo Successivo

Come è cambiata l’Ue (e l’Occidente) dalla crisi greca a quella ucraina?

next