Il Consiglio superiore della magistratura ha approvato il parere critico sulla riforma dello stesso Csm e dell’ordinamento giudiziario varata dal governo, licenziato il 15 marzo dalla Sesta Commissione e modificato nei giorni scorsi dal plenum (l’organo al completo). Il documento è stato approvato per parti separate: a votare contro o astenersi sono stati soprattutto i membri laici dell’organo, cioè quelli non appartenenti alla magistratura e nominati dal Parlamento. Nel parere si stronca innanzitutto la nuova legge elettorale proposta dal governo per i membri togati (quelli eletti dai magistrati tra le proprie file) a sistema binominale maggioritario, che secondo il Csm metterebbe a rischio l’indipendenza della magistratura e le minoranze non iscritte alle correnti più forti. L’ipotesi dei collegi binominali era stata criticata da molti addetti ai lavori: secondo i consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteosarebbe il trionfo del correntismo e del bipolarismo, che provocherà ulteriori spaccature e conflitti“. Questa parte del documento però è passata per un soffio, con 13 consiglieri a favore e altrettanti contrari e il voto decisivo del vicepresidente David Ermini (che vale doppio): i laici e una parte dei togati infatti erano contrari a un emendamento che chiede di estendere il numero dei consiglieri da eleggere nella quota proporzionale, perché – secondo loro – non spetta al Csm fare proposte sul sistema elettorale.

Criticata anche la norma che affida al ministro della Giustizia la “individuazione discrezionale dei collegi“. Si rischia così, scrivono i consiglieri, “una modifica strumentale della composizione dei collegi per orientare il risultato elettorale, con evidente pregiudizio per lo stesso principio costituzionale di autonomia e indipendenza della magistratura”. Positivo il giudizio sullo stop alle porte girevoli tra politica e giustizia, con una riserva espressa però sulla previsione che al termine del mandato elettorale (o dell’incarico di governo) i magistrati possano essere assegnati all’ufficio del Massimario della Cassazione, uno dei posti più ambiti, “al quale si accede all’esito di un concorso per merito, anzianità ed attitudini”: l’effetto quindi sarebbe “illogicamente premiale” nei confronti di chi si candida, si legge. Mentre le “pagelle” ai magistrati sulla capacità di organizzare il proprio lavoro – graduate in “discreto, buono, ottimo” – “portando ad una inammissibile classifica tra magistrati dell’ufficio”, potrebbero “finire per stimolare quel carrierismo che la riforma vorrebbe invece eliminare”.

Durante la discussione in plenum è stato inoltre approvato un emendamento – proposto dai consiglieri togati della corrente progressista di Area – che critica l’introduzione di un nuovo illecito disciplinare per punire i magistrati che non si attengono alle nuove regole sui rapporti con la stampa, previste dal decreto legislativo sulla “presunzione di innocenza” in vigore dal dicembre scorso. Il Csm segnala alla ministra Marta Cartabia che il nuovo illecito “presenta notevoli criticità con riguardo alla garanzia di indipendenza dei magistrati del pubblico ministero”. Il divieto per i pm “di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio” è “un divieto amplissimo, che involge qualsiasi dichiarazione e su qualsiasi procedimento, anche quelli definiti e anche quelli non trattati dal magistrato”, e quindi “palesemente irrazionale e in contrasto con il diritto di manifestazione del pensiero dei magistrati. Con tali disposizioni – aggiungono – si rischia da un lato di impedire qualsiasi comunicazione o informazione sui procedimenti penali, non solo quelli in corso ma anche quelli già definiti, e dall’altro si attribuisce al titolare dell’azione disciplinare (cioè il ministro, ndr) un potere di controllo e condizionamento amplissimo sui procuratori della Repubblica e su tutti i magistrati del pubblico ministero”.

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