“La trama non è il punto”. Non entrate a vedere Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson pensando che sia la “storia” a trascinarvi oltre misura verso la standing ovation che si dice in giro. Qui siamo dalle parti della forma che crea contenuto o giù di lì. Già, perché P.T. è uno di quei registi hollywoodiani che ha oramai abbandonato la convenzionalità narrativa (ci ha mai davvero puntato? tipo Boogie Nights? Non esageriamo) per un trattamento autoriale “all’europea”. In pratica l’esplosione del sentimento amoroso reciproco, continuamente rimandato e perennemente latente, nella californiana assolata Encino del 1973, tra il 15enne Gary (Cooper Hoffman, figlio dell’indimenticabile Philip Seymour) e la 25enne Alana (Alana Haim, cantante degli Haim assieme alle sorelle Este e Danielle, sorella anche nel film), è il risultato del solito esperimento alchemico andersoniano fatto di carrellate laterali, accenni di piano sequenza, punteggiatura sonora di un tempo irrimediabilmente divagante, ricucito tra continue chiazze sensoriali.

Insomma, per essere chiari: Gary e Alana nel loro avvicinamento/allontanamento fisico cincischiano, rimandano, prolungano un finale (possibile) non perché è necessità del racconto in sé, ma perché è Anderson (regia, script, direzione della fotografia ed executive) a pretendere che la storia prenda certe strane curve, determinati bizzarri ostacoli, estenuanti rimbalzi del racconto. Ed in questa costruzione stilisticamente ed esteticamente dispotica del senso e della direzione della storia che Licorice Pizza avvolge lo spettatore tra le sue spire ammalianti. Basterebbero i primi cinque minuti di film, ovvero l’incontro casuale tra una lunga fila di matricole – tra cui Gary – per la foto scolastica e la bella assistente del fotografo, Alana.

Anderson ricompone subito l’osmosi tra i due protagonisti con il gancio di un campo lungo e di piani stretti, poi di un poderoso scavalcamento di campo (per stampare schiena a parte posteriore di Alana) farcito di uno scambio di battute tra corteggiatore e corteggiata che ribalta subito emotivamente lo spettatore e che trasforma e cancella magicamente la differenza d’età tra i due – lui 15enne, lei 25enne. Questo sarebbe sufficiente per capire come P.T. ci ha portato e fatto precipitare in un amen dove vuole esattamente lui. A quel punto siete giù in trappola senza esservene accorti: il sentimento (d’amore? d’amicizia?) tra i due ragazzi non ha più bisogno di essere (di)mostrato con il realismo di copule, dettagli corporei, gocce di sudore e ansimi, ma va a costruirsi con le parentesi continue di una sinuosa e impegnativa poesia espressiva.

Gary è peraltro un attore (alquanto già consumato) e porta con sé su un set tv Alana che poi si invaghisce dell’altro attore ragazzino Lance. I due si distaccano ma senza scenate di litigio (la telefonata muta carica di silenzio è un momento di cinema, che non si sviluppa con la parola, da paura), poi lui assieme ai fratellini più piccoli apre un negozio di materassi ad acqua (non chiedetevi se sia credibile, non vale e non è questo il punto), così Alana lo segue e lo aiuta entusiasta, ingelosendosi quando Gary il giorno dell’inaugurazione del negozio si apparta con un’altra teenager. Di nuovo frizioni, con lei che vuole fare l’attrice, incontra e fa la svenevole al ristorante con la star marpiona Jack Holden (Sean Penn che si rifà a William Holden). Gary cena nello stesso locale e di nuovo a distanza i due battibeccano senza quasi sfiorarsi. Poi ancora: c’è la crisi petrolifera, tutte le auto della California fanno la fila per la benzina, mentre Gary e Alana compiono l’ultima consegna di un materasso e finiscono nel villone dell’eccentrico, folle produttore cinematografico, ex parrucchiere, Jon Peters (Bradley Cooper).

Infine, ultimo blocco tra Taxi Driver e Manhattan con Alana che trova un nuovo lavoro e diventa volontaria (sic) per la campagna elettorale di un giovane consigliere democratico omosessuale, mentre Gary apre una sala di flipper e videogiochi. Nella notte dell’inaugurazione del negozio di Gary i due si reincontreranno di nuovo e chissà se sarà la volta buona. Ecco, Licorice Pizza è questo film qui: raccontare un sentimento scegliendo accuratamente di non prenderlo mai di petto. Magari qualcuno si annoierà, qualcun altro si chiederà se poi c’era bisogno della smargiassata puntello esterno delle grandi star (Penn, Cooper e anche l’ingombro di Tom Waits) per particine macchietta, qualcun altro invece ci cascherà dentro in pieno facendolo diventare film del cuore. Il soundtrack – il budget MGM c’è anche per i diritti musicali e si sente – mescola tra gli altri titoli di seconda fascia dei Doors, Sonny &Cher, Donovan, Nina Simone, Slip away di Clarence Carter, e il brano omonimo scritto da Johnny Greenwood per il film.

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