“Se arrivano due bambini fuggiti dalle bombe in Ucraina, non puoi andare avanti a spiegare i verbi, ma devi rivedere il tuo modo di insegnare”. Elisa Rao, maestra della scuola primaria di Montecrestese – 1.200 anime nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola, in Piemonte – da una ventina di giorni ha cambiato, ancora una volta, il proprio modo di fare scuola. La “lezione” la fanno Karina e Vitalik, scappati da un villaggio a un centinaio di chilometri da Kiev, quando ancora i russi non avevano invaso il Paese ma già si percepiva aria di guerra. Sei anni lei, nove lui, sono arrivati in questo borgo di montagna grazie alla nonna che abita lì, sposata con un italiano. Per inserirsi a scuola hanno avuto l’aiuto di una ragazza ucraina, ingaggiata come mediatrice linguistica: la maestra Elisa Rao, però, ha lavorato molto anche con la classe, dando dignità all’ascolto delle domande dei bambini italiani e alle loro paure di fronte a una guerra che ora toccano con mano guardando gli occhi smarriti dei loro compagni. Un esempio virtuoso, come quello di Lozzo Atestino (Padova), dove il dirigente Alfonso D’Ambrosio ha aperto le porte a Tymur e Artur, o quello della primaria “Mascagni” di Prato, dove Diana Lenzi e le sue colleghe hanno abbracciato Dymtro, organizzando un’accoglienza che ha coinvolto tutta la scuola.

I fondi ministeriali – Dopo l’emergenza Covid, il mondo dell’istruzione si trova ad affrontare una nuova sfida. Qualche scuola ha già un modello di accoglienza collaudato, ma resta un’urgenza da risolvere: i mediatori linguistici. Il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha messo sul tavolo un primo stanziamento di un milione di euro da ripartire in base alle esigenze degli Uffici scolastici regionali, in accordo con le Prefetture competenti. Ma i fondi non arriveranno subito: nel frattempo le scuole devono cercare figure che conoscano la lingua ucraina, non sempre facili da trovare. Il problema non è solo quello di assicurare ai nuovi arrivati il sacrosanto diritto di imparare (come gli altri alunni) ma anche quello di affrontare questa situazione con gli strumenti pedagogici necessari per parlare di guerra a dei ragazzi.

Le esperienze – Nei giorni scorsi Elisa Rao ha portato la sua terza a una manifestazione per la pace a Domodossola, promossa dalle scuole superiori: “Peccato che fossimo gli unici della primaria. So di scuole dove i bambini durante l’intervallo fanno il “gruppetto della guerra” per parlare di ciò che accade in Ucraina perché le maestre non affrontano questo argomento in classe. I miei alunni, invece, nel preparare l’arrivo dei compagni ucraini hanno avuto l’opportunità di sentirsi ancora più gruppo”. A Montecrestese, però, le trenta ore di mediazione linguistica messe a disposizione dalla concittadina ucraina per la fase d’accoglienza sono già terminate. “Ne servirebbero ancora, magari con una persona preparata come quella che abbiamo avuto fino ad oggi”, dice la maestra. Una necessità anche per il preside Alfonso D’Ambrosio: “Non abbiamo bisogno di linee guida, ma di fondi immediati che ci permettano di pagare i mediatori linguistici per il lavoro svolto. I fondi non devono darli alle scuole ma alle associazioni, alle realtà che mettono a disposizione queste risorse umane. E poi dobbiamo prolungare il contratto all’organico Covid, in scadenza il 31 marzo, e convertirlo in organico emergenza Ucraina”.

I numeri – L’elefantiaca macchina ministeriale è al lavoro, ma la situazione non è semplice. Ad oggi si parla di settemila minori già sul territorio italiano: una stima probabilmente al ribasso, perché in molti arrivano senza passare da alcun controllo. In viale Trastevere dovranno ben presto fare i conti con i bambini e ragazzi che ancora arriveranno nelle prossime settimane e destinare i fondi in maniera razionale, in base ai monitoraggi per rilevare le presenze sul territorio. Quel che è certo è che i mediatori linguistici non sono abbastanza per tutti: sarà necessario coinvolgere studenti universitari e famiglie che già vivono in Italia. Gli ucraini, o meglio le ucraine – visto che l’80% sono donne – nel nostro Paese sono 248mila, secondo i dati del governo. Il ministro e il suo capo dipartimento Stefano Versari – che nei giorni scorsi ha dato l’ok ai presidi per accogliere i nuovi alunni – ora stanno pensando alla fase dell’accoglienza. Poi affronteranno quella dell’inclusione.

Un modello a Prato… – Intanto c’è chi, avendo già esperienza, ha messo in atto un protocollo collaudato da tempo. Alla “Mascagni” di Prato si accolgono da anni i bambini della comunità cinese che lavora in quelle zone. Dymitro, dieci anni, è arrivato in Italia con il padre quando ancora si poteva prendere un volo per fuggire e ha trovato un’intera scuola pronta a farlo sentire a casa: “La nonna che era già in Italia ha fatto l’iscrizione a far tempo del suo arrivo”, spiega la maestra Diana. “Abbiamo così lavorato con tutte le classi, c’è stata una grande manifestazione per il nuovo arrivato ma anche in solidarietà con l’Ucraina. All’inizio Dmytro era spaesato, com’è normale che sia. Abbiamo fatto un’attività artistica disegnando una mano che fermava i carri armati, e lui ha colorato quelle dita con i colori blu e gialli della bandiera ucraina. Pian piano lo inseriremo in un percorso specifico per apprendere la lingua come facciamo con gli alunni orientali”.

…e uno a Varese – Il modello di riferimento, però, arriva da Varese. A raccontarcelo è Luisa Oprandi, la preside dell’Istituto comprensivo 1, che ha spalancato le classi a due fratelli gemelli di nove anni, Maiia e Martin: “Nella nostra realtà, grazie alla sinergia tra scuola, ex Provveditorato e Comune abbiamo un centro di prima alfabetizzazione dove gli alunni della primaria con cittadinanza non italiana vengono inizialmente accolti per apprendere la lingua italiana in base alle loro competenze già acquisite o meno”. Per quelli delle “medie” quattro giorni vengono dedicati all’alfabetizzazione, mentre il mercoledì i ragazzi stanno con i compagni. A Varese l’accoglienza è sociale e culturale ed è fatta grazie all’impegno di tutti: “Sa, mi ha chiamato il ministro Bianchi per ringraziarmi e io gli ho detto che il grazie va a tutti gli insegnanti e agli alunni che hanno dato il benvenuto a Maiia e Martin”, dice Luisa.

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