Le condizioni di salute della foresta amazzonica, il più grande polmone verde del mondo, non sono buone. Nel solo mese di gennaio sono stati disboscati ben 430 chilometri quadrati della sua superficie, l’equivalente di 40mila campi da calcio oppure della città di Manchester. L’area distrutta, secondo quanto riferito dall’agenzia aerospaziale Inpe, è cinque volte maggiore di quella persa nel gennaio 2021 ed è ai massimi mensili dal 2015. Il disboscamento illegale consente ad agricoltori ed allevatori senza scrupoli di espandere le proprie attività ad un prezzo contenuto e senza rischiare nulla. Gli ambientalisti riferiscono di un’impunità generalizzata che fa proliferare gli illeciti e che si è rafforzato durante la presidenza di Jair Bolsonaro. Il Capo di Stato è poco interessato alla tutela degli ecosistemi ed ha ridotto al minimo le protezioni di cui godeva la foresta pluviale.

La foresta amazzonica si estende su una superficie di 6,7 milioni di chilometri quadrati e la sua porzione più vasta, le cui dimensioni superano quelle dell’Europa occidentale, si trova in Brasile. Qui vivono il dieci per cento di tutte le specie animali conosciute e centinaia di tribù indigene, che adottano con fierezza i valori culturali tramandati da generazioni e sopravvivono grazie alle risorse fornite dalla foresta. Una parte degli indigeni non ha mai avuto contatti con il mondo esterno ma la crescita della pressione per lo sfruttamento delle loro terre ne sta riducendo il numero e li costringe ad una fuga costante per sfuggire agli attacchi di taglialegna ed allevatori. L’isolamento rende minacciose anche malattie innocue per le quali non state sviluppate adeguate difese immunitarie.

A contribuire alla rapida scomparsa di vaste aree di foresta amazzonica è anche l’estrazione illegale delle risorse minerarie, un’attività che genera un impatto ambientale catastrofico. I minatori vivono in condizioni di estrema povertà e lavorano con strumenti rudimentali mentre le grandi società minerarie si arricchiscono. I fiumi da cui viene estratto l’oro purissimo, rivenduto a caro prezzo, subiscono una degradazione che li contamina e che mette a rischio le tribù che vivono sul territorio. Il presidente Bolsonaro è ritenuto colpevole, dall’organizzazione non governativa austriaca AllRise, della deforestazione dell’Amazzonia e di aver contribuito alle violenze nei confronti delle popolazioni indigene e degli attivisti che la difendono. L’Ong lo ha denunciato, nell’ottobre 2021, alla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità. AllRise ritiene che il comportamento di Bolsonaro contribuisca all’aggravarsi della crisi climatica e potrebbe causare fino a 180mila morti per l’aumento delle temperature globali derivante dalla grave riduzione delle foreste pluviali. Bolsonaro era già stato denunciato alla Corte penale internazionale, alcuni mesi prima, dall’Associazione dei popoli indigeni con l’accusa di genocidio. Non è escluso che queste azioni possano incidere sulle elezioni presidenziali che si svolgeranno nel mese di ottobre.

I sondaggi elettorali sono concordi nel prevedere una netta vittoria dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, candidato progressista del Partito dei Lavoratori, sia al primo che al secondo turno delle consultazioni (54 per cento delle intenzioni di voto stimate). Jair Bolsonaro dovrebbe arrivare al ballottaggio ma il divario nei confronti dello sfidante, 24 punti percentuali, appare incolmabile. Gli altri candidati non hanno, invece, nessuna possibilità di superare il primo turno. Il dibattito elettorale è stato dominato da temi di natura economica e dalla pessima gestione della pandemia da parte di Bolsonaro, negazionista e fervente anti-vaccinista. La crisi climatica è rimasta sullo sfondo ma, secondo alcuni, l’elezione presidenziale può essere anche un voto per il futuro del pianeta. Lula, in un’intervista rilasciata al portale New Internationalist, ha ricordato come il suo governo “avesse fissato obiettivi ambiziosi per quanto riguarda la riduzione delle emissioni e ridotto la deforestazione dell’Amazzonia dell’80 per cento” ed ha inoltre dichiarato che “lo sviluppo del Brasile non può essere slegato da un programma ambientale che prevede, tra le altre cose, la conservazione delle foreste”. Gli ambiziosi obiettivi fissati da Lula potrebbero restare lettera morta ma, se realizzati, non potranno non riguardare alcune priorità immediate come il contrasto agli incendi e l’assistenza alle comunità indigene. Il futuro appare più complesso ed in questo senso è necessario attuare politiche integrate a tutela della regione e che vedano la partecipazione di molteplici attori. La strada, che appare in salita, non sarà facile da percorrere.

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