Oltre 6,4 milioni di dipendenti, pari al 52% di quelli coperti dalla contrattazione collettiva, a fine 2021 avevano il contratto nazionale scaduto. Altri 5,9 milioni hanno un contratto valido, grazie al fatto che lo scorso anno ne sono stati recepiti ben 20 tra cui quello della metalmeccanica e della logistica. Ma la “marcata riduzione della quota di dipendenti in attesa di rinnovo”, sottolinea l’Istat, “non ha comportato una rilevante crescita delle retribuzioni contrattuali orarie, che si è fermata al +0,6%, in linea con quella del 2020″. Il problema è che nel frattempo l’inflazione è ripartita a un ritmo che non si vedeva da anni. I prezzi sono cresciuti con una dinamica “pari a circa tre volte quella retributiva”. Con il risultato che il potere d’acquisto dei lavoratori si è ridotto.

Per quanto riguarda l’indice mensile delle retribuzioni contrattuali, a dicembre 2021 l’aumento tendenziale ha raggiunto l’1,2% per i dipendenti dell’industria, lo 0,8% per quelli dei servizi privati, mentre è stato nullo per la pubblica amministrazione. Gli aumenti tendenziali più elevati riguardano il settore delle farmacie private con aumenti di ben 89 euro al mese (+3,9%), delle telecomunicazioni (+2,5%) e del credito e assicurazioni (+2%) mentre non si registra nessun incremento per edilizia, commercio, servizi di informazione e comunicazione e pa.

Nel quarto trimestre dell’anno sono stati recepiti tre accordi (carta e cartotecnica, farmacie private e trasporto aereo-vettori) e nessun contratto è scaduto. I contratti in attesa di rinnovo a fine dicembre 2021 sono scesi a 32. Il tempo medio di attesa di rinnovo, per i lavoratori con contratto scaduto, nel corso del 2021 è passato dai 20,9 mesi di gennaio ai 31,3 mesi di dicembre.

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