Ero quasi sicuro che Glasgow non avrebbe partorito una risposta onesta e consapevole al manifesto del Climate Vulnerable Forum, pubblicato il 7 settembre 2021. Sarò pessimista, ma non credo neppure che l’ammucchiata del Cop26 sia stata l’ultima possibilità per l’umanità di evitare la catastrofe climatica, come affermava il Forum. Il futuro del clima di questo secolo fu deciso dal Earth Summit di Rio de Janeiro del 1992, sotto il regno di George H.W. Bush.

Allora un americano emetteva circa 19 tonnellate di CO2 equivalente all’anno, oggi 17, un pelino meno; ma sempre più di quanto emettono tre italiani. Popolo molto più virtuoso il nostro, sceso da più di 7 a 5 tonnellate in trent’anni. Un cinese, invece, è salito da 2 a 7 tonnellate, superando in tromba l’italiano e il francese, le cui emissioni pro-capite sono pressoché equivalenti, nonostante il secondo sia un convinto profeta del nucleare, dismesso dal primo quasi 35 anni fa.

Nel 1992 un terrestre emetteva poco più di una tonnellata di CO2 equivalente all’anno. Il suo cattivo alito è quasi quadruplicato nel 2020, assieme a una popolazione cresciuta nel frattempo del 40 percento. A sua volta, la popolazione cinese è cresciuta del 20 percento, assai meno di quella statunitense, aumentata del 28. Grazie al saldo netto positivo tra immigrazione ed emigrazione, quella italiana è cresciuta di un modesto 5 per cento. L’Italia, come gran parte dell’Europa, è un paese climaticamente e demograficamente virtuoso. E le sue fantascientifiche transizioni ecologiche sono affatto marginali sul cuor della Terra, così come quelle europee.

Il treno della mitigazione a breve e medio termine è già passato 30 anni fa senza fermarsi. Da più di mezzo secolo sappiamo che “il sistema si comporta come una vecchia motocicletta che reagisce alla rotazione della manetta del gas: la ripresa lenta della moto dipende dal fatto che il mezzo ha un certo peso, ossia è caratterizzato da una certa inerzia di massa: per il sistema climatico, dipende dall’inerzia termica degli oceani. La stessa situazione si verifica anche quando spingiamo gradualmente l’acceleratore: il veicolo risponde con un certo ritardo (riprende) alle nuove posizioni della manetta che corrispondono a date velocità di regime; e, se togliamo il gas di brutto, la moto tenderà ad accelerare ancora, prima di adeguarsi alla velocità costante di regime, che corrisponde al minimo del motore” (Effetto serra. Istruzioni per l’uso, 1994, in riproduzione anastatica 2018).

Il futuro climatico del prossimo quarto di secolo è già scritto. Iniziando la riduzione delle emissioni a metà del secolo XXI, come da pronostico scozzese, l’umanità potrà ragionevolmente contenere il riscaldamento globale del prossimo secolo. L’esito scozzese è un patetico messaggio in bottiglia, disperso nell’oceano dell’indifferenza. A breve e medio termine, l’adattamento non è perciò una opzione marginale, ma una concreta e immediata necessità.
Glasgow ha però soffocato nell’amnesia globale anche le politiche di adattamento, lasciate alla completa discrezione nazionale e nazionalistica. L’umanità mette la testa sotto sabbia sui conflitti che tali politiche potranno produrre a medio e lungo termine. Sul cuor della Terra più interconnessa della storia, chi fa da sé fa per tre.

Le due fondamentali richieste dei paesi poveri e vulnerabili della Terra, poste dal Climate Vulnerable Forum, sono state soddisfatte? Bisognava:

1) riconoscere che le azioni di adattamento sono una emergenza improrogabile per i paesi poveri e vulnerabili;

2) mobilitare un’azione rafforzata di sostegno della comunità internazionale per affrontare la migrazione climatica. Entrambe le questioni sono state risolte con impegni affatto generici quanto irrilevanti.

La doccia scozzese più acida, però, è la totale assenza di decisioni politiche in tema di orientamento ed educazione dei cittadini. Nessuna misura è stata presa per invertire l’attitudine clima alterante della gente, assimilata a una folla di consumatori famelici. Una misura efficace e immediata per ridurre le emissioni sono il risparmio e l’efficienza energetica. Tanto per dire: limitare velocità e accelerazione dei veicoli e ridurne significativamente il peso, anziché l’opposto di moda ai giorni nostri. E, magari, cambiare la nostra dieta.

La ruota ad acqua già nota a Vitruvio e immortalata dalle note di Leonardo da Vinci macinava il grano trasformando più del 90 percento dell’energia potenziale in energia cinetica. È seconda solo alla turbina idraulica, assai simile, che Pelton inventò alla fine del XIX secolo mentre rincorreva l’oro in California. Un Suv elettrico da due tonnellate che viaggia a 200 km/h trasforma l’energia potenziale in cinetica con una efficienza venti volte inferiore a quella del mulino della nonnina, zucchero e latte e fior di farina.

Null’altro che “ambaradan, fuffa, blablazione”: questo è il messaggio di Glasgow. Il clima in ostaggio della crescita del Pil è una macchina dotata di enorme inerzia, ma cambia più velocemente di quanto sappia fare l’umanità. E sarà per forza un clima più caldo che renderà la sfida impari, dove molte regioni del pianeta diventeranno assai scomode se non del tutto inospitali. Solo dal basso possono emergere politiche efficaci di mitigazione. La supremazia assoluta e indiscutibile del finanzcapitalismo non ammette però alcun cambiamento di archetipi, abitudini, attitudini da parte dei cittadini. E, per ora, il finanzcapitalismo è talmente miope da non accorgersi neppure dell’urgenza di eque politiche di adattamento.

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