“Agire locale. Pensare globale”. È il motto degli italiani che, nelle due settimane della Cop 26 di Glasgow, si sono uniti in Scozia agli attivisti tutto il mondo, per chiedere azioni concrete contro il cambiamento climatico. “È stato un momento di confronto interno, tra noi, ed esterno con i governi – racconta Luciano Castrignano, 28 anni, di Legambiente Basilicata – Il culmine delle battaglie che noi portiamo avanti su territori e che sono parte integrante di quella del movimento internazionale”. Alcuni erano membri di Ong, che partecipavano alla conferenza in veste di osservatori istituzionali. C’erano però anche ambientalisti, giunti autonomamente per partecipare ai People’s summit, gli incontri delle varie associazioni e ai cortei di protesta. “Un mondo grande colorato e pacifico” che ha ribadito il ruolo cruciale delle piazze nell’aumentare la consapevolezza dell’emergenza climatica. Ma che ora mira ad essere ascoltato dai decisori.

“Eravamo 18 e abbiamo deciso di partire con 2 minivan da Roma” racconta Rubina Pinto, 28 anni, di Legambiente Piemonte. Insieme ai suoi colleghi ha attraversato l’Europa per prendere parte alla Cop 26 Coalition, l’unione di centinaia di organizzazioni, coalizzate per rimarcare il diritto ad una giusta transizione ecologica. Per compensare le emissioni del viaggio hanno però sottoscritto un progetto di recupero di rifiuti e produzione di carbonella dalla biomassa in Cambogia: “È stato questo il nostro spirito fin dall’inizio”. Altri attivisti sono invece arrivati in bus, altri in treno, come i 20 di Extinction Rebellion e i 15 di Fridays for future di Torino. “Poi ci siamo appoggiati allo Human hotel, una piattaforma di abitanti che aprono le porte a chi arriva in questi giorni a Glasgow” spiega Roberto Gammeri, 27 anni, di XR.

Sicuramente l’evento che rimarrà più impresso sarà la grande marcia dello scorso 6 novembre, il Global day of action, con i suoi 150 mila partecipanti. “Un fiume di gente sotto la pioggia incessante. Abbiamo urlato e non abbiamo più voce ora – racconta Rubina – Sembrava di far parte di un momento zero. Un evento che non tornerà più”. “Non era la solita manifestazione solo bianca. C’erano tantissime culture diverse e una presenza massiccia dall’Africa, dall’America Latina e dal Global South – racconta anche Luca Sardo, Fridays 22enne – C’erano movimenti ecologisti, lavoratori e sindacati. Un movimento più ampio che in Italia che ha lanciato un bel segnale. L’impatto di vedere centinaia di persone in piazza si era perso durante gli scioperi online”. Proprio questa diversità ha rafforzato la determinazione a combattere per un modello di sviluppo sostenibile, anche in chiave sociale, soprattutto in un futuro in cui sarà fondamentale l’accoglienza dei migranti climatici: “L’ambientalismo senza diritti è giardinaggio – afferma Luciano di Legambiente – Incontrare un pezzo di mondo, come i sudanesi della Scozia, che solitamente non ha accesso a internet e non può raccontare cosa succede nei loro Stati è stato importantissimo”.

L’entusiasmo è stato però segnato dall’urgenza di agire sia dentro che fuori dalle sale della conferenza. “A causa del Covid questa è stata una delle Cop più esclusive – spiega Domenico Vito, osservatore di Hubzine. Solo pochi Stati sono riusciti a partecipare attivamente e soprattutto pochi rappresentanti delle popolazioni indigene e dei soggetti vulnerabili. Qualsiasi strategia non inclusiva è imperfette. Per questo con l’ente Climate action network stiamo spingendo sul ‘Bring back people to the negotiations’, riportiamo le persone ai negoziati – prosegue poi – Bisogna tenere alta la guardia ma le proteste hanno sicuramente messo pressione, almeno a non scontentare l’opinione pubblica”. Gli attivisti sono determinati a rivendicare il loro ruolo cruciale nella discussione pubblica con dimostrazioni di vario tipo: “Siamo stati presenti con presidi e sit-in all’entrata della Cop e in aree targhettizzate della città dove si trovano aziende che praticano deforestazione e producono combustibili fossili” dichiara Roberto di Extinction Rebellion. Tra le più significative quella sul ponte Saint George: 21 scienziati si sono incatenati sulla strada e hanno bloccato il traffico per oltre tre ore per lanciare l’allarme sull’aumento delle emissioni. Le azioni di disobbedienza civile si sono però viste anche all’interno delle sale della Cop da parte dei giovani observer. “Non sono più guardate come una cosa aliena – dichiara Annalisa Gratteri, 53 anni, anche lei di XR – Anche se il movimento climatico non ha avuto impatto a livello effettivo lo sta avendo a livello di comunicazione. Tutte le dichiarazioni dei politici erano molto drammatiche e nessuno dice più agli ambientalisti che sono degli isterici, ma – prosegue – la sensazione è che agli stati dicano ‘Facciamo noi’, preferendo trovare soluzioni tecnologiche con i Bezos e i Gates di turno”. Anche il progresso tecnico non può essere abbastanza però se non si cambia il modello economico e di consumi. Il 10% più ricco della popolazione è infatti responsabile di più del 40% dei Co2 globali.

Anche al di là delle proteste, “La piazza è piena di proposte, soluzioni che esistono e sono attuabili – raccontano Rubina e Luciano di Legambiente – In questi giorni abbiamo partecipato a diversi panel (su come combattere il greenwashing, evitare gli scontri in piazza ecc.), ma parallelamente abbiamo discusso su come continuare la nostra lotta per portare a casa dei risultati”. Dinnanzi alle richieste di mettere fine ai finanziamenti ai combustibili fossili e implementare dei i fondi per i Paesi più penalizzati dalla crisi climatica “la politica sembra girarsi dall’altra parte. Non so cosa si aspettano da noi. Di parole ne abbiamo avute fin troppe”.

I passi per il momento sembrano timidi, mentre la situazione è sempre più drammatica: secondo le rilevazioni di Climate Action Tracker con le attuali politiche si incorrerà in un aumento delle temperature globali di ben 2,7 gradi celsius, troppo sia per i fenomeni metereologici estremi che ne potrebbero derivare che per gli effetti su numerosi ecosistemi fragili. “Le dichiarazioni sono interessanti – commenta Annalisa – ma non sufficienti. Le promesse poi devono essere mantenute”.

Il movimento climatico globale quindi non si esaurisce a Glasgow, ma continua sul locale: “Non viviamo di illusioni e sapevamo che questo era il trampolino di lancio per definire le roadmap per la riduzione dei gas serra nella Cop 28 che si terrà in Egitto – spiega Rubina – Ma la presenza massiccia di tutto il mondo a protestare è un grosso risultato per noi”. I Fridays hanno infatti dato anche in Italia nuova linfa ad organizzazioni quarantennali come Legambiente. “Essere così tanti e spalleggiarsi ci farà ottenere dei cambiamenti dal basso con campagne e azioni sui territori”. Dello stesso avviso è anche Luca, appartenente all’associazione dei giovani capitanata da Greta Thumberg: “Noi a Torino continueremo a tenere alta l’attenzione. Saremo in piazza per tenere il nostro segnale anche da qui e stimo già lavorando a scioperi nuovo anno per farci sentire dall’amministrazione della nostra città”. “Si sta gradualmente capendo che la transizione è anche un’opportunità economica – commenta Domenico di Hubzine – Concordo con Obama, che è il padre dell’Accordo di Parigi: gli attivisti devono continuare a rimanere arrabbiati perché questo serve a svegliarci, ma dobbiamo incanalare questa frustrazione nell’essere protagonisti del cambiamento. Senza paura di prendere parte ai processi decisionali. Victory by Victory, piccola vittoria dopo piccola vittoria arriveremo ai risultati”. Questo significa presidiare i tavoli nazionali e regionali: “Dobbiamo far passare l’idea che un mondo migliore è non solo possibile ma necessario – afferma Luciano – Se tutti facciamo la nostra parte, per una transizione fatta bene e subito, possiamo chiedere lo stesso anche a chi ci guida”

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