Cinque anni di carcere per scambio elettorale politico-mafioso. È la condanna dell’ex presidente del consiglio regionale e assessore al bilancio della Calabria, Francesco Talarico, che chiude il processo “Basso Profilo” celebrato, in primo grado, con il rito abbreviato. Con 21 condanne e 4 assoluzioni, la sentenza del gup Simona Manna conferma, in sostanza, le accuse formulate nella maxi-inchiesta dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, che aveva chiesto 8 anni per il politico calabrese, segretario regionale dell’Udc.

Assolto dal reato di associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso, Talarico è stato riconosciuto però colpevole per quanto accaduto alle elezioni politiche del 2018 quando era candidato nel collegio di Reggio Calabria e secondo gli inquirenti ha “letteralmente svenduto il suo futuro incarico, mettendo in relazione faccendieri, soggetti di palese estrazione ndranghetista con un parlamentare europeo”. Il riferimento è al segretario nazionale dell’Unione di Centro Lorenzo Cesa, indagato in un primo momento dalla Dda di Catanzaro che poi, nei suoi confronti, ha chiesto l’archiviazione.

I quattro assolti sono l’amministratore delegato di Sicurtransport spa Luciano Basile, Francesco Mantella, Rodolfo La Bernarda e il notaio Rocco Guglielmo. Stando all’indagine, coordinata dai pm Paolo Sirleo e Veronica Calcagno, l’assessore Talarico sarebbe stato appoggiato dalla cosca De Stefano tramite il consulente di Invitalia Natale Errigo, imparentato con alcuni esponenti della famiglia di ‘ndrangheta, e tramite il reggino Antonino Pirrello, condannato a 4 anni di carcere. Quest’ultimo è il titolare di un’impresa di pulizie con commesse in enti pubblici.

Uno dei principali indagati dell’inchiesta, invece, è Antonio Gallo, l’imprenditore che si sarebbe rivolto a Errigo e Pirrello per conto del candidato dell’Udc finito prima ai domiciliari e poi all’obbligo di dimora. L’assessore, in sostanza, avrebbe avuto rapporti con Antonio Gallo che, in cambio del suo appoggio elettorale, avrebbe ottenuto l’interessamento del politico alle sue imprese. Anche se non ha retto l’associazione a delinquere, nelle carte di“Basso Profilo, la Dda parla di “un comitato d’affari”, una sorta di “connubio diabolico tra imprenditori e politici”.

Da una parte Antonio Gallo e dall’altra l’assessore calabrese al Bilancio Francesco Talarico. Il 7 maggio 2017 i due imputati sono andati a Roma dove, al ristorante “Tullio”, hanno incontrato il deputato Cesa. In quell’occasione c’erano anche due consiglieri comunali calabresi, Tommaso e Saverio Brutto (anche loro imputati nello stralcio con il rito ordinario) che, già allora, erano intercettati dalla Dia. Se sia stato un semplice pranzo o qualcosa di più non è stato possibile appurarlo. Essendo Cesa all’epoca parlamentare, infatti, gli investigatori hanno dovuto staccare il trojan, inoculato nel cellulare di uno dei Brutto, senza poter ascoltare i discorsi tra il segretario dell’Udc e l’imprenditore Gallo.

Quello su cui però gli inquirenti non hanno dubbi sono gli accordi presi in campagna elettorale da Talarico e in particolare quelli con l’imprenditore Gallo dal quale avrebbe ricevuto “il sostegno elettorale – scrivono i pm – in cambio dell’impegno ad appoggiarlo per l’ottenimento, con modalità illecite, di appalti per la fornitura di prodotti antinfortunistici erogati dalla sua impresa e banditi da enti pubblici economici e società in house, attraverso la mediazione dell’europarlamentare Lorenzo Cesa, con il quale il Talarico avrebbe effettivamente promosso un incontro”. “Frà (Talarico, ndr)..noi ora dobbiamo parlare con Cesa.. – sono le parole di Tommaso Brutto finite in un’intercettazione – io mi devo risolvere il problema di mio figlio e gliela dobbiamo mettere anche sul piano Frà che noi qui dobbiamo tenere un partito, dobbiamo tenere una segreteria… dobbiamo tenere…mio figlio è disoccupato, io ho un mezzo inc…”.

Sono stati i due Brutto a creare l’impalcatura della rete di relazioni arrivata fino alla segreteria nazionale dell’Udc. Per gli inquirenti, infatti, Tommaso e Saverio Brutto hanno individuato Gallo quale figura imprenditoriale in grado di insinuarsi efficacemente nel settore degli appalti: “Lo mettevano in contatto con Francesco Talarico, per creare un connubio efficace volto a reperire appoggi a livello politico e con il maresciallo Ercole D’Alessandro della Guardia di Finanza, per potere disporre di notizie di tipo investigativo”.

Gli inquirenti hanno monitorato le riunioni “politiche” degli indagati. In una di queste – “i presenti manifestavano l’auspicio di ottenere importanti commesse presso Enti nazionali quali Enel, Eni, Arpacal, Calabria Verde, Tim”. “Oltre agli appalti presso i citati Enti, – scrivono sempre i magistrati – la carica di parlamentare europeo di Cesa attirava l’attenzione di tutti gli interessati per gli investimenti in Albania e comunque nell’est Europa, potendo egli aprire canali importanti per vendere i prodotti commercializzati da Gallo presso enti pubblici stranieri, ospedali, cliniche, facendo leva proprio sulla sua attuale carica di europarlamentare”.

Non solo voti ma anche soldi. “Devo concretizzare… Facciamo le cose solo per gli altri?” si domanda infatti Talarico in merito all’aiuto concesso all’imprenditore legato ai clan. “Ti serve in tutti i sensi Francù… – lo tranquillizza Tommaso Brutto – economicamente… Nella campagna elettorale… si muove, non è che dici tu è uno che si tira indietro… questo non si spaventa… non ha la mano corta eh!.. azziccato! è azziccato, Franco, ma sai perché? perché…. (è un generoso) bravo!… non è fesso!”.

Voti ma anche soldi. Quelli servono sempre per la campagna elettorale e il futuro assessore regionale al Bilancio puntava al 5% degli affari che avrebbe fatto fare a Gallo attraverso Cesa: “Noi – dice – vediamo qual è la fornitura in base al discorso… noi sappiamo preciso… il 5%… Lorè (Cesa ndr), questo c’ha il 5%.. capito… ora vediamo… facciamo le cose… fatte bene… e poi lo stabiliamo con lui! quante ne da, quanto ne (inc)… naturalmente che rimane cose… per noi… per voi, no… che facciamo…”.

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