Secondo una recente rilevazione di due agenzie di informazione, tra i reati che non accennano a calare ci sono le contraffazioni alimentari

I reati che calano e quelli che non calano

Calano i reati denunciati in Italia nel triennio 2017-19; quelli non denunciati, ovviamente, sono una cifra oscura. Quasi tutti, tranne alcuni tipi, tra i quali ci sono quelli in materia di contraffazione; anche alimentare, vinicola in particolare. Insomma, cresce l’agropirateria, il tutto mentre risulta di nuovo letteralmente dispersa la riforma dei reati agroalimentari. È quanto emerge da un’analisi condotta da due agenzie informative, Adnkronos e Expleo, che hanno tracciato le tendenze sui reati cosiddetti minori sulla base dei dati forniti dal Ministero dell’Interno.

Per quanto riguarda le contraffazioni in ambito enoalimentare, in realtà non c’era bisogno di particolari conferme. Erano già sufficientemente eloquenti in tal senso i rapporti dell’Icqrf, la cosiddetta “repressione frodi”, che snocciola annualmente il bollettino delle aggressioni di natura fraudolenta al patrimonio alimentare nazionale: la cosiddetta “agropirateria”, sopra citata, cui ormai va associata pienamente “l’enopirateria”.

Il ddl di riforma dei reati agroalimentari

A fronte di tutto ciò, c’è un disegno di legge sulla riforma dei reati agroalimentari che potrebbe costituire un serio strumento di contrasto a questi fenomeni criminosi ormai sistemici. Se non fosse che, come si accennava sopra, esso risulta nuovamente arenato, per non dire dissolto, nelle secche parlamentari, più precisamente della Commissione Giustizia della Camera.

L’appello per la sua approvazione

Tutto ciò nonostante la crescente sensibilità dell’opinione pubblica intorno a questo tema nevralgico, che ha avuto una sua significativa espressione nell’appello per l’approvazione di questa legge sottoscritto qualche mese fa da un vasto fronte di personalità e associazioni, che vedeva tra i primi firmatari don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele.

Quell’appello si apriva con un principio tanto semplice quanto netto: “difendere il proprio cibo è un elementare diritto-dovere di qualunque comunità che tenda alla propria autoconservazione”.

Proseguiva ricordando che “in questo paese il sistema di tutela penale dell’alimentazione è fondato essenzialmente sul Codice penale e su una legge speciale, la n. 283: il primo risale al 1930, la legge n. 283 è del 1962. Negli ultimi 60 anni, e ancor più negli ultimi 90, in materia di alimentazione è cambiato il mondo. Soprattutto sono mutate le forme di aggressione al nostro cibo: oggi sono costituite eminentemente da sofisticazioni, adulterazioni, contraffazioni, speculazioni, frodi su scala seriale, organizzata, spesso a livello transnazionale”. Ne concludeva che “il nostro sistema di difesa penale dell’alimentazione, insomma, non è adeguato a fronteggiare questa massa multiforme e pervasiva di illeciti”.

Veniva, quindi, formulata dagli estensori una griglia di linee direttrici di riforma. “Occorre una radicale riforma del sistema normativo:

– che calibri la risposta sanzionatoria sulla natura e l’entità dell’offesa al bene alimentazione, dello specifico fenomeno criminoso da contrastare;

– che anticipi quanto più possibile la soglia della punibilità dei vari comportamenti illeciti, fino alla fase del mero rischio, ma che contemporaneamente preveda misure premiali, di varia natura, per tutti coloro che dovessero aver infranto la legge in modo non abituale e non grave e che poi adottassero specifici comportamenti, prescritti dalle Pubbliche Autorità, mirati ad eliminare il pericolo o a ridurre il danno cagionati;

– che parta dal presupposto oggettivo che la gran parte dei reati più gravi e sistematici matura in contesti d’impresa e che, di conseguenza, preveda specifiche forme di responsabilità dell’azienda in quanto tale, non solo dei suoi esponenti; subordinando, però, la punibilità dell’ente alla sua mancata adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo della sua attività produttiva.”

Sono tutti principi contenuti nella bozza di riforma predisposta dalla Commissione Caselli ormai sei anni fa e trasfusi nel ddl oggi all’esame della Camera.

Un esame degno di una commedia di Eduardo: non finisce mai. La conclusione è facile: per il legislatore di questo paese colmare il vuoto di tutela dello stesso patrimonio alimentare nazionale, evidentemente, non è una priorità.

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