L’agricoltura biologica italiana potrebbe godere, in tempi più o meno brevi, di una specifica legislazione nazionale. La scorsa settimana, dopo una lunga attesa, il Senato ha votato il Disegno di legge n. 988, “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”. Ora il Ddl passa alla Camera.

Il testo legislativo in questione contiene – tra l’altro – una vera e propria carta dei valori del biologico. La si rinviene nell’art. 1, c. 2: “la produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione alimentare, basato sull’interazione tra le migliori prassi in materia di ambiente e azione per il clima e di salvaguardia delle risorse naturali e, grazie all’applicazione di norme rigorose di produzione, contribuisce alla qualità dei prodotti, alla sicurezza alimentare, al benessere degli animali, allo sviluppo rurale, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla salvaguardia della biodiversità e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra stabiliti…

Dati questi presupposti alti e nobili, non si può che guardare con grande interesse a questa legge prossima ventura. Tuttavia, come spesso accade, quei principi hanno ricevuto, nello stesso articolato, una traduzione in norme di dettaglio che non manca di suscitare dubbi e interrogativi su una serie di punti specifici. E ancor più nevralgica potrebbe rivelarsi la loro applicazione pratica. Qualche esempio.

C’è il tormentone biodinamico: il concetto di “equiparazione per legge” rispetto al biologico (contenuta addirittura nel primo articolo del testo) – ossia l’equiparazione di un metodo i cui disciplinari e i cui metodi di certificazione sono di natura privatistica rispetto a quello che, invece, gode (o soffre) di un sistema pienamente pubblicistico e multilivello – risulta poco chiaro nel suo senso reale, nei suoi presupposti, ma soprattutto nelle sue implicazioni concrete.

Anche se è difficile rimuovere la sensazione che il polverone che è stato sollevato sulla presunta “stregoneria al potere” sia, nella più benevola delle interpretazioni, sproporzionato rispetto al merito reale della questione; ma, soprattutto, non proprio limpido quanto ai reali intendimenti e obiettivi dei suoi autori. Specie se si considera che tra i più accreditati di essi vi sono conclamati sponsor istituzionali di sostanze forse un filo più nocive del cornoletame: tipo il glifosato. A parte questo, non mancano ulteriori zone d’ombra, in atto o in potenza, nel provvedimento.

Quanto ai “distretti biologici”, per esempio, si afferma che essi “si caratterizzano, altresì, per il limitato uso dei prodotti fitosanitari al loro interno. In particolare, gli enti pubblici possono vietare l’uso di diserbanti per la pulizia delle strade e delle aree pubbliche e stabilire agevolazioni compensative per le imprese” (art. 13). E qui un distretto “biologico” caratterizzato da una “limitata” contaminazione da pesticidi potrebbe far pensare qualche irriducibile incontentabile o qualche cronico malpensante a una forma di “limitata” contraddizione in termini. Specie se si considera che l’utilizzo dei pesticidi non è vietato a monte neanche “per la pulizia delle strade e delle aree pubbliche”, dove esiste una mera possibilità di divieto lasciata agli stessi enti pubblici di riferimento del biodistretto in questione; con tutte le difficoltà che sconta, regolarmente, un ente locale a imporre un provvedimento del genere.

Poi c’è il capitolo della “democrazia biologica”, o aspirante tale: dalla composizione degli organismi di rappresentanza al Tavolo tecnico per la produzione biologica previsto dalla legge all’individuazione e alla regolamentazione delle prerogative delle organizzazioni maggiormente rappresentative fino alla singolare presenza, a quello stesso Tavolo, di “quattro rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole a vocazione generale”.

Tutte questioni che meriteranno qualche chiarimento o, quantomeno, qualche approfondimento. Almeno per cercare di prevenire l’esplosione di faide interne al mondo dell’agricoltura biologica, secondo stilemi concettuali e, soprattutto, operativi già ampiamente collaudati in altri settori.

Queste alcune delle ombre potenzialmente più vistose. Tanto che, come succede non di rado in presenza di riforme legislative molto attese, ma che poi finiscono per risultare un po’ troppo di compromesso, già qualche osservatore dichiara che, comunque, anche una legge imperfetta – in alcune parti, parecchio imperfetta – sia meglio che nessuna legge. Come che sia, nella prossima parte di questo contributo si passerà ad accendere alcune delle luci di questo disegno di legge, che pure ci sono e meritano almeno la stessa attenzione.

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