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Borsellino quater, definitive le condanne per la strage di via D’Amelio e il depistaggio delle indagini. Il pg: “Pagina vergognosa e tragica”

Nel novembre 2019 la Corte d'Assise d'Appello di Caltanissetta aveva confermato l'ergastolo ai boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino e dieci anni di carcere ciascuno ai falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta, dichiarando prescritta la calunnia pluriaggravata dell'altro falso pentito, Vincenzo Scarantino. "Una mostruosa costruzione calunniatrice", "una delle pagine più vergognose e tragiche" della storia giudiziaria italiana, "di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante", ha detto il sostituto procuratore generale Pietro Gaeta in requisitoria
Borsellino quater, definitive le condanne per la strage di via D’Amelio e il depistaggio delle indagini. Il pg: “Pagina vergognosa e tragica”
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La Corte di Cassazione reso definitive le quattro condanne emesse nel processo “Borsellino quater” sulla strage di via D’Amelio e i successivi depistaggi nelle indagini. Confermati i due ergastoli inflitti a novembre 2019 dalla Corte d’Appello di Caltanissetta ai boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, nonché i dieci anni per calunnia al falso collaboratore di giustizia Calogero Pulci. Un piccolo sconto di pena è stato concesso all’altro falso pentito Francesco Andriotta, condannato anch’egli per calunnia, la cui pena si abbassa da dieci anni a nove anni e sei mesi, mentre la calunnia pluriaggravata di Vincenzo Scarantino era già stata dichiarata prescritta in appello. In udienza il sostituto procuratore generale Pietro Gaeta aveva chiesto la conferma integrale della sentenza di Caltanissetta: le falsità dichiarate da Pulci, Andriotta e Scarantino – ha detto in requisitoria – sono “una mostruosa costruzione calunniatrice“, “una delle pagine più vergognose e tragiche” della storia giudiziaria italiana, “di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante”.

Il quarto processo sull’omicidio di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della scorta è nato dalle dichiarazioni del boss di Brancaccio Gaspare Spatuzza, che nel 2008 ha confessato di essere stato lui a rubare la Fiat 126 usata per l’attentato: sbugiardando così definitivamente la versione di Scarantino e Salvatore Candura (condannato a 12 anni per calunnia con rito abbreviato), i criminali di quartiere che si erano auto-accusati del furto, con dichiarazioni confermate da Andriotta e in seguito da Pulci. Nel 2009 Scarantino – nel frattempo condannato a 18 anni – e Andriotta dichiararono ai magistrati di essere stati costretti da Arnaldo La Barbera – ex capo della squadra mobile di Palermo – e dal suo gruppo investigativo a confessare il falso con pressioni psicologiche, maltrattamenti e minacce.

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