Un omicidio di mafia sventato grazie agli arresti. E’ un’operazione che ha smantellato il clan di Bagheria, da sempre roccaforte di Cosa Nostra, quella messa in campo stamattina dai carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo, Salvatore De Luca. Un uomo, nonostante gli “avvertimenti”, aveva continuato a sfidare i vertici mafiosi. Così i militari del comando provinciale di Palermo hanno eseguito un provvedimento di fermo emesso dalla Direzione distrettuale antimafia nei confronti di 8 indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa e finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni aggravate, maltrattamenti, reati aggravati dalle modalità mafiose. I carabinieri del nucleo investigativo – attraverso intercettazioni ambientali, telefoniche, telematiche e veicolari – hanno delineato il nuovo organigramma della famiglia mafiosa.

La mappa della mafia a Bagheria – I militari, infatti, hanno accertato il passaggio del comando della famiglia di Bagheria da Onofrio Catalano (detto ‘Gino’) a Massimiliano Ficano, ritenuto più autorevole, che aveva l’appoggio e il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale. L’investitura sarebbe avvenuta con il placet dell’allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nell’operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia. Ficano, che si vantava della sua tradizione familiare, aveva scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa e, approfittando del vuoto di potere, aveva preso il comando anche con metodi violenti. Insieme a Ficano, sono stati fermati oggi anche i suoi uomini più fidati. Si tratta di Gino Catalano, Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano. Il boss si vantava con i suoi fedelissimi di essere stato iniziato nell’organizzazione dai mafiosi vicini a Bernardo Provenzano che in passato si erano occupati della latitanza del padrino corleonese.

L’imprenditore prestanome – Nel corso delle indagini è stato accertato che il capo della famiglia mafiosa aveva disponibilità di armi ed è stato anche individuato un imprenditore edile: si tratta di Carmelo Fricano (detto “Mezzo chilo“), ritenuto vicino allo storico capo mandamento detenuto Leonardo Greco. Le indagini hanno consentito di raccogliere una serie di elementi nei confronti dell’imprenditore edile adesso indagato per associazione di tipo mafioso.

L’omicidio sventato – Ma quale è l”omicidio sventato dagli inquirenti col blitz di oggi? Quello di Fabio Tripoli, apparentemente estraneo al contesto mafioso, ubriaco e spesso intemperante, che si era permesso di sfidare pubblicamente il capo mafia Ficano. La reazione contro l’affronto non era tardata. Ficano avrebbe incaricato alcuni affiliati di picchiare Tripoli. Un violento pestaggio che provocò alla vittima un trauma cranico e la frattura della mano. Nonostante l’aggressione Tripoli avrebbe tuttavia continuato a sfidare il capo mafia armandosi con una accetta e dicendo in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale inaugurato dallo stesso Ficano. Un affronto che il boss decise di lavare con il sangue. Per cercare di costruirsi un alibi, dopo aver dato l’ordine di uccidere il “ribelle”, il boss si allontanò da Bagheria, anche per prepararsi alla fuga visto il pericolo di essere arrestato.

E al panificio venne vietato di produrre dolci – Ma non solo. Le indagini hanno documentato anche come Ficano imponeva la propria autorità sul territorio. Non solo estorsioni ma anche alla risoluzione delle controversie tra privati. Così poteva accadere che un panificio, accusato di ‘concorrenza sleale‘ a un’attività gestita da un soggetto vicino al clan, fosse costretto a modificare la propria produzione, in modo da non danneggiare l’esercizio commerciale vicino ai clan. “Le vittime sono state effettivamente costrette a smettere di produrre i dolci oggetto della contestazione mafiosa di ‘concorrenza slealè”, spiegano gli investigatori. Per il resto come spesso capita il core business della cosca era rappresentato dallo spaccio di droga e dai centri scommesse. Non sapendo di essere intercettato e parlando con un suo stretto collaboratore il bossFicano spiegava l’importanza del traffico di sostanze stupefacenti e della gestione dei centri scommesse, le attività più remunerative per la famiglia. “Attività che venivano controllate direttamente da capomafia – spiegano gli investigatori dell’Arma – anche se non si esponeva mai in prima persona, delegando i suoi più fidati collaboratori”. I proventi servivano a provvedere al sostentamento dei familiari dei detenuti, dovere ‘sacrò dei boss liberi “in quanto, in caso di mancato adempimento di tale delicata incombenza, vacillerebbe il vincolo di omertà interna e, di conseguenza, la graniticità di Cosa Nostra”, dicono gli investigatori.

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