In un momento di fragilità così profonda del Paese, sono stati i bisogni e i diritti di bambine e bambini, ragazze e ragazzi ad essere dimenticati, nell’attuare tutte le necessarie al contenimento della pandemia. Carichi emotivi, isolamenti, perdita delle esperienze sociali fondamentali nelle tappe della crescita più importanti, riduzione dei contatti con la natura, riduzione dei processi di esplorazione educativa nei confronti di ambienti esterni, riduzione dell’autonomia e di esperienze nuove con cui costruire relazioni significative.

Un’inclinazione a cui già prima della pandemia si faceva faticava a dare voce in Italia, che ho già registrato insieme al prof. Paolo Mottana nel libro Educazione diffusa-per salvare il mondo e i bambini e che ha ispirato alcune delle azioni che ho portato avanti in parlamento, con l’approvazione della legge sull’educazione civica obbligatoria, sulla lettura, sull’educazione motoria nella scuola primaria e dell’infanzia, ma anche sull’introduzione del concetto di educazione emotiva tra i banchi di scuola, contro fenomeni quali bullismo e cyberbullismo. Molte di queste battaglie sono a metà strada o stanno compiendo appena i primi passi.

La dad – pur legittima in una prima fase – ha creato danni enormi quando alcune regioni hanno abusato delle chiusure creando un danno enorme ai minori. La risposta a cui oggi il governo è chiamato non è tornare al modello a cui tutti eravamo abituati prima della pandemia, ma investire sulle comunità educanti con le risorse del Pnrr. Il governo Conte 2 ci ha creduto e nel 2020 ha scelto di definire il primo protocollo di comunità educanti diffuse quale strumento di apprendimento e scoperta per i più giovani, ma anche abilitante per esplorare la realtà durante la pandemia e le numerose restrizioni.

A rafforzare questa azione è arrivata anche l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, nella nota inviata il 26 marzo 2021 al Ministro dell’Istruzione, che suggeriva di “adottare linee guida per la costruzione dei patti educativi di comunità che amplino l’offerta formativa grazie ad accordi tra soggetti istituzionali e non definiti a livello locale”. Con il suggerimento che essi entrino a far parte dei livelli essenziali di prestazioni.

Sono difatti numerosi gli esempi di comunità educanti diffuse che hanno, al livello locale, innescato la miccia del cambiamento. Cito l’esperienza dell’Officina del Fare e del Sapere, che nasce da un gruppo di genitori che si sono attivati per dare vita ad un progetto sperimentale che potesse rispondere alle esigenze educative dei propri figli, seguiti dalla pedagogista Nicoletta Sensi e ispirati dai principi dell’Educazione Diffusa di Paolo Mottana, professore all’università Bicocca di Milano. In questo contesto, all’apprendimento in aula, i ragazzi hanno integrato esperienze di lavoro nei laboratori degli artigiani della città di Gubbio, opere di volontariato oppure la gestione di uno spazio con cui interagire con i cittadini.

A Napoli con il patto educativo di comunità per quattro tra quartieri e municipalità del capoluogo campano: Pianura, Chiaiano, Rione Luzzatti e San Lorenzo-Vicaria-Vasto, alimentato dai due programmi nazionali “Bella Presenza” che ha capofila la Cooperativa Dedalus, e “Futuro Prossimo” guidato da Save the Children c’è un’altra esperienza pilota che può diventare norma per la città guidata da Manfredi.

Esso prevede un confronto costante tra scuole, docenti e famiglie, per la co-progettazione e la co-gestione di attività tese a sostenere gli studenti fragili, attraverso interventi di supporto allo studio e all’apprendimento. Accanto alle attività scolastiche, sono stati attivati percorsi laboratoriali su competenze digitali, cittadinanza e partecipazione, radio, arte, teatro, cinema.

Così come accade nella città di Palermo, che ha ottenuto il riconoscimento da parte della Commissione Unesco come “Città educativa” per le iniziative a favore dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e di cui si segnala l’importante iniziativa di integrazione culturale nota come “Il Giardino”, che ha accolto centinaia di minori, segnalati dalle scuole, dai servizi sociali, dalle case famiglia e dalle strutture di accoglienza del territorio palermitano per svolgere attività quali sport educazione outdoor, contatto con la natura, creazione di piccoli orti, yoga e tecniche di rilassamento, fabulazione e narrazione, ballo.

Tale progettualità rientrano a pieno titolo nell’ambito dell’iniziativa “Sprint! La scuola con una marcia in più”, che coinvolge le città di Milano, Brindisi e Palermo. Attività destinate a bambini e ragazzi delle scuole di primo e secondo grado, ma anche docenti e genitori, impegnati in attività creative e laboratoriali per la crescita sociale, culturale e ambientale.

Una attività che ha inteso rispondere ai bisogni di socializzazione e integrazione dei bambini e della comunità educante attraverso la condivisione di un modello di scuola aperta inserito nel territorio, centro di attività scolastiche ed extra-scolastiche, con l’obiettivo di far sperimentare ai giovani e alle famiglie il senso di responsabilità verso lo spazio pubblico, le aree verdi e la comunità, stimolando la loro iniziativa personale per lo sviluppo sostenibile del territorio.

Si tratta di esperienze che si fanno strada nel Paese e che bisogna mettere, a tutti i costi, a sistema, rendere visibili, mappare per garantire un’evoluzione della scuola Italiana e una nuova stagione di protagonismo giovanile, mettendo nelle loro mani le leve del potere del cambiamento.

Articolo Precedente

Lavoro, Orlando: “Purtroppo in Italia si può licenziare via Whatsapp, lo dicono due sentenze della corte d’appello”

next
Articolo Successivo

Pd, la critica di De Luca: “Mio ruolo nazionale? Cambiamo il partito dall’interno. Dirigenza di anime morte, incapace di attrarre voti”

next