La verifica dell’identità del possessore del green pass “ha natura discrezionale ed è rivolta a garantire il legittimo possesso della certificazione. Tale verifica si renderà comunque necessaria nei casi di abuso o elusione delle norme”, per esempio “quando appaia manifesta l’incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione”. Ecco la soluzione che la circolare del Viminale – annunciata lunedì dalla ministra Luciana Lamorgese e firmata dal capo di gabinetto Bruno Frattasi – individua per sciogliere il nodo di cui tanto si è discusso negli ultimi giorni: cioè se i titolari di bar e ristoranti debbano o meno richiedere i documenti agli avventori per “completare” il controllo del green pass. In sostanza, precisa il ministero, gli esercenti hanno la facoltà di chiedere la carta d’identità ma non sono obbligati a farlo, a meno che non si trovino in presenza di un chiaro tentativo di frode: ad esempio una data di nascita riportata sul pass incompatibile con l’età del possessore, o un possessore uomo a fronte di un’intestataria donna (o viceversa). E in ogni caso “la verifica di cui trattasi dovrà essere svolta con modalità che tutelino anche la riservatezza della persona nei confronti di terzi”.

Martedì il Garante della privacy, rispondendo a un quesito della Regione Piemonte, aveva chiarito che le figure individuate dal Dpcm come “verificatori” del green pass (tra cui anche i titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi) sono legittimati a far esibire i documenti anche se non rivestono la qualifica di pubblici ufficiali. Circostanza ribadita nella circolare del ministero: “È il caso di precisare – prosegue infatti il testo – che l’avventore è tenuto all’esibizione del documento di identità, ancorché il verificatore richiedente non rientri nella categoria dei pubblici ufficiali”. E puntualizza che “qualora si accerti la non corrispondenza fra il possessore della certificazione verde e l’intestatario della medesima, la sanzione (da 400 a 1000 euro, ndr) risulterà applicabile nei confronti del solo avventore, laddove non siano riscontrabili palesi responsabilità anche a carico dell’esercente”. Per gli spettacoli e gli eventi sportivi, invece, “possono essere abilitati alle verifiche i cosiddetti steward, ossia il personale iscritto negli appositi elenchi dei questori, il cui impiego in servizi ausiliari delle forze di polizia è previsto negli impianti sportivi”.

Il documento si chiude ricordando ai prefetti “l’assoluta necessità che venga posta la massima attenzione nelle attività di verifica e controllo circa l’impiego effettivo di dette certificazioni, anche con specifico riferimento alle aree maggiormente interessate dalla presenza di attività sottoposte a verifica, facendone oggetto di apposita programmazione in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, nonché nelle discendenti pianificazioni di carattere operativo a cura dei Questori”. Si incoraggia, cioè, la programmazione di quei controlli a campione che verranno svolti dalla polizia amministrativa nei luoghi dov’è obbligatorio l’utilizzo del pass, in particolare nelle aree a maggiore concentrazione di locali. La soluzione individuata recepisce le istanze degli esercenti, esplicitate ancora martedì dal capo di Fipe-Confcommercio Roberto Calugi: “Ci auguriamo che la nostra richiestà del documento di identità avvenga soltanto laddove si ravvisi una palese contraffazione del certificato. E in quel caso, se il cliente si rifiuta di esibire il documento, chiameremmo le forze dell’ordine. Non possiamo sostituirci a un pubblico ufficiale”, aveva detto.

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Green pass, il Garante privacy: “Titolari di bar e ristoranti possono chiedere il documento d’identità per verificare l’appartenenza”

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