“Le figure autorizzate alla verifica dell’identità personale sono quelle indicate nell’articolo 13 del Dpcm 17 giugno 2021 con le modalità in esso indicate, salvo ulteriori modifiche che dovessero sopravvenire”. Cioè, tra gli altri, “i titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi“, che quindi possono – almeno in teoria – chiedere di esibire un documento d’identità per verificare l’appartenenza del green pass. Il chiarimento arriva dall’Autorità garante della privacy, che si è riunita in seduta straordinaria per rispondere a un quesito della Regione Piemonte in cui – secondo l’assessore agli Affari legali Maurizio Marrone – si chiedeva “conferma che agli esercenti privati non possano, e non debbano, essere attribuite funzioni tipiche dei pubblici ufficiali. E invece il Garante ha fornito il parere opposto, sostenendo che “è consentito il trattamento dei dati personali consistente nella verifica (…) dell’identità dell’intestatario della certificazione verde, mediante richiesta di esibizione di un documento”. E ricordando che, come garanzia prevista dallo stesso decreto, è esclusa la “raccolta, da parte dei soggetti verificatori, dei dati dell’intestatario della certificazione, in qualunque forma” (articolo 13, comma 5).

Nella nota inviata alla Regione, l’Autorità sostiene che la “disciplina procedurale” dettata dal Dpcm “comprende – oltre la regolamentazione degli specifici canali digitali funzionali alla lettura della certificazione verde – anche gli obblighi di verifica dell’identità del titolare della stessa, con le modalità e alle condizioni di cui all’art. 13, c.4″. E tale articolo precisa che “l’intestatario della certificazione verde all’atto della verifica dimostra, a richiesta dei verificatori, la propria identità personale mediante l’esibizione di un documento di identità”. Il trattamento dei dati, quindi, è consentito da parte dei soggetti di cui all’articolo 13 comma 2, cioè gli stessi che devono verificare la validità del qr code: i pubblici ufficiali nell’esercizio delle funzioni, il personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento, il proprietario di luoghi presso i quali si svolgono eventi, i vettori aerei, marittimi e terrestri, i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie. E, appunto, anche “i soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi”.

Appena lunedì la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, aveva precisato che gli esercenti non avrebbero dovuto chiedere documenti d’identità, e che il Viminale avrebbe emesso una circolare per risolvere il nodo. “Nessuno pretende che gli esercenti chiedano i documenti, i ristoratori non devono fare i poliziotti“, ha detto. La regola – spiegava – “è che venga richiesto il green pass senza il documento di identità”, pur non escludendo controlli a campione da parte della polizia amministrativa. Il giorno seguente, però, il sottosegretario alla Salute Andrea Costa ha dichiarato che “verificare la corrispondenza dei dati del green pass con il documento d’identità, tutto sommato, poteva essere un elemento di garanzia e di ulteriore controllo e verifica. Sono procedure che nel nostro Paese già si fanno per alcune attività”. E dopo la pronuncia del Garante il capo di Fipe-Confcommercio, Roberto Calugi, chiede dei paletti: “Ci auguriamo che la nostra richiestà del documento di identità, come si legge nel decreto di giugno, avvenga soltanto laddove si ravvisi una palese contraffazione del certificato. E in quel caso, se il cliente si rifiuta di esibire il documento, chiameremmo le forze dell’ordine. Non possiamo sostituirci a un pubblico ufficiale”, dice.

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Green pass, la circolare del Viminale: “Gestori non sono obbligati a chiedere i documenti se non nei casi di abuso o elusione delle norme”

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