“La verità è che il reddito di cittadinanza non funziona: tutti lo sanno, nessuno lo ammette. Quando uno strappa il velo dell’ipocrisia subito viene attaccato. Io sono pronto a discutere delle misure per lottare contro la povertà. Ma questa misura non può essere il sussidio diseducativo e clientelare che non ti avvicina al lavoro, come dimostrano i dati. Il reddito di cittadinanza è un fallimento“. Agosto non porta consiglio e Matteo Renzi torna all’attacco. Nella sua Enews, il leader di Italia viva spara ancora alzo zero contro la misura anti povertà che aveva messo nel mirino all’inizio di luglio – tra proposte di referendum abrogativo e uscite sui presunti “soldi buttati” – per poi predicare, sabato scorso, che i sussidi non vanno bene perché “la gente deve soffrire, rischiare, provare, correre, giocarsela”. Chiosa: “Se non ce la fai ti diamo una mano, ma bisogna sudare ragazzi”. Non proprio un viatico per migliorare un provvedimento che sicuramente a due anni dal varo ha bisogno di un tagliando, come auspicato anche dal presidente Inps Pasquale Tridico, ma che – come ha riconosciuto la Caritas nel suo ultimo rapporto – pur suggerendo varie opzioni per migliorarlo – “è uno strumento di promozione umana che può liberare dal giogo della privazione economica e della mancanza di opportunità”.

Lo spunto di Renzi, stavolta, è un capitolo della sua ultima opera letteraria, ControCorrente, che “dedica l’ultimo capitolo a riflettere sul valore identitario della cultura“. All’ex rottamatore e poi premier non va giù il fatto che il libro “viene attaccato per la parte sul reddito di cittadinanza. Chi non vuole studiare ma preferisce odiare mi ha manganellato sui social per tre giorni, dicendo che io voglio far soffrire la gente, un sadico insomma”. Invece no, si difende il senatore descrivendo se stesso e il suo ex governo come grandi promotori di misure anti povertà perché “il lavoro si crea con il JobsAct e con Industria 4.0 non con il Reddito e i Navigator”.

Un triplo salto carpiato, perché un conto è dire che il reddito va migliorato per far sì che raggiunga con più precisione chi ne ha davvero bisogno, come infatti auspica la Caritas, un altro è mischiarlo con le politiche attive per il lavoro, che sono un tema del tutto diverso. Il “decretone” che ha creato il reddito e quota 100 prevede sì dei percorsi di inclusione lavorativa, per chi è in grado di seguirli – e questa parte non sta funzionando come dovrebbe perché i centri per l’impiego non sono mai stati rilanciati e anche il nuovo governo su questo fronte è in ritardo – ma in parallelo anche percorsi di inclusione sociale affidati ai servizi locali e destinati a chi per età, competenze, problemi fisici o di altro tipo non può essere avviato al lavoro. Aiuti pubblici per sollevare dalla povertà chi non è in grado di lavorare, va ricordato, esistono in tutti i Paesi europei. E la Commissione Ue ha benedetto la misura, chiedendo di ampliarla e non certo di metterla in discussione.

Renzi comunque si dice “pronto a un dibattito pubblico con chiunque su questo tema. Qualcuno avrà il coraggio di sfidarmi oppure, come sempre, twittano e scappano?”. E invita al confronto il leader in pectore del M5s: “Sto ancora aspettando che Conte accetti un dibattito pubblico sulle rispettive collaborazioni professionali, magari possiamo allargare a reddito di cittadinanza, immigrazione, economia, politica estera”.

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